Caro direttore, leggendo la prima pagina di Repubblica, ieri, ed in particolare l’intervento di Zingaretti sul caso Regeni, mi è tornato alla mente lo spezzone di un film del noto regista Nanni Moretti, “Aprile”. Non so per quale assurda associazione involontaria il mio subconscio abbia elaborato e messo insieme questi elementi, ma tant’è.
Il protagonista si rivolgeva al tubo catodico, mentre andava in onda il solito dibattito politico, e pronunciava le seguenti frasi “Che tortura questa campagna elettorale e speriamo che finisca presto… D’Alema dì qualcosa, rispondi… D’Alema dì una cosa di sinistra, anche non di sinistra… ma di civiltà”.
Ora, che l’attuale segretario del Pd stia cercando visibilità, visto anche l’avvicinarsi dell’embargo ad opera proprio dei suoi competitors e “compagni” di banco, è oramai chiaro ma che si voglia, per l’ennesima volta, strumentalizzare il caso Regeni per poi portare ad un nulla di fatto, è uno stillicidio che andrebbe evitato: in primis per la dignità dell’Italia e poi per rispetto del giovane brutalmente assassinato così come per i familiari che da anni chiedono giustizia.
Ha fatto discutere la scelta del presidente della Commissione Regeni (Leu), di voler convocare il Presidente Conte in audizione dopo l’interlocuzione tra il Presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica Araba d’Egitto Abdel Fattah Al-Sisi in merito alla scelta del Governo italiano di autorizzare un’imponente vendita di armamenti, a partire dalla cessione di due navi militari cui seguiranno in totale circa 9 miliardi di commesse. Così come hanno fatto discutere le parole pronunciate in Aula dal Ministro Di Maio, quando ha risposto ad un’interrogazione su tale tema. Come buon costume in politica, il figliol prodigo di Grillo, ha imparato velocemente l’arte della retorica.
Ciò premesso, come si colloca in tutto questo il PD di Zingaretti? Non poteva essere da meno e ovviamente qualcosa doveva necessariamente dire. Perché se tutti si sono pronunciati in tale senso, con le più svariate argomentazioni, non può mancare all’appello anche la sinistra. Visto che i giorni scorsi il botta e risposta tra Orfini (Pd) e Franceschini (PD) a colpi di twitter aveva fatto tremare gli umori già precari all’interno del partito, hanno preso tutti la parola per non essere da meno e non lasciare spiragli. E così è cominciato il balletto delle esortazioni al governo e al Consiglio dei Ministri, affinché prendesse una posizione chiara sulla trattativa con l’Egitto, come se l’Italia, con la politica estera che si ritrova, potesse avere qualche potere contrattuale. Ad ogni modo, è riuscito ad intervenire anche il placido Fassina con tutto lo stato maggiore del PD e finalmente anche Zingaretti.
Il messaggio alla maggioranza di Governo è arrivato forte e chiaro, anche in ragione del fatto che in quella maggioranza siedono proprio loro. Insomma, se la cantano e se la suonano, strumentalizzando chiaramente la vicenda. Nessuno deve essere da meno, così da non creare alibi per i prossimi congressi.
Ma il problema, sussurrato, sembra essere ora un altro. In piena post pandemia e con lo strascico degli Stati Generali che si sono rivelati un flop, si preoccupano dello scranno che a breve potrebbe abbandonare ( non si sa se per volontà o altro) il premier. Quale migliore occasione?
I cinque stelle, al traino di Beppe Grillo, sono troppo assorti dal caso Di Battista che cerca di riemergere dalle proprie ceneri, facendo appello all’animo più insurrezionalista del movimento.
Ebbene sì, siamo nel pieno di una campagna elettorale all’interno della stessa compagine politica, ma questa volta non c’è D’Alema che tenga, così come l’auspicio che possa dirsi qualcosa di sensato è da escludere…
Sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere per lo stato in cui versa l’Italia. Fa al caso nostro la celebre frase di Gerard Genette “il comico è il tragico visto di spalle”.
Ad ogni modo, si spera solo che il caso Regeni non sia il pretesto per incrinare gli animi e indebolire gli avversari, ma bensì sia il tentativo reale di voler far luce sul caso. Le immagini di Giulio, sventolanti dai balconi dei palazzi, sono sufficientemente sbiadite per ricordare al Governo/i che il caso è ancora aperto e brucia come una ferita, nonché come una sconfitta, per la diplomazia italiana.