Tenuta ferma da due cugini, strangolata dallo zio, fatta a pezzi e messi in diversi sacchetti che poi sono stati gettati nel Po. Questa sarebbe la sorte subita da Saman Abbas, la diciottenne sparita da circa un anno secondo quanto riferito da uno degli indagati, il cugino Ikram Iiaz, detenuto in carcere. Ecco perché non si è mai riusciti a trovare il corpo della giovane. A tutto questo si aggiunge un’intercettazione telefonica dal Pakistan dove il padre di Saman dice di aver dovuto far eliminare la figlia perché “aveva offeso il suo onore”. Quello che ha scatenato la furia omicida sarebbe una foto pubblicata sui social dove la figlia si bacia con il fidanzato. Questa è la cronaca dei fatti, fino a oggi. Non è il primo caso di una ragazza appartenente a una famiglia musulmana uccisa dai familiari perché “si vestiva all’occidentale” o aveva un fidanzato italiano.



Di quesi drammi si occupa da anni Souad Sbai, originaria del Marocco, ex deputata, giornalista e attivista in favore delle donne islamiche che nel 1997 ha fondato l’Associazione della comunità marocchina in Italia delle donne (Acmid) di cui è presidente, associazione che si occupa di difesa dei diritti delle donne arabo-musulmane: “In Italia viviamo già il dramma dei femminicidio di donne italiane a cui si aggiungono i casi di queste ragazze musulmane. La situazione è così grave che dobbiamo occuparci di queste persone anche da morte, come quando ci siamo costituiti parte civile per il delitto di Rachida Rida, 35 anni, uccisa dal marito connazionale nel novembre del 2011 perché era troppo integrata con la cultura occidentale e pare volesse avvicinarsi al cattolicesimo”.



Una giovane appartenente a famiglia di religione musulmana, in caso di violenze o impedimento a vivere le sue scelte, ha oggi in Italia un posto dove recarsi per chiedere aiuto che non sia ovviamente la polizia? Le moschee offrono qualche tipo di sostengo?

No, non esiste assolutamente nulla a parte la nostra associazione. Ne aiutiamo tantissime, i casi sono molti purtroppo.

Quindi queste giovani trovano il coraggio di chiedere aiuto?

Sì, quelle che si rivolgono a noi sono molte. Il problema è che non riusciamo a aiutarle tutte. Il Covid ci ha tagliato le gambe, ma soprattutto in Italia mancano i centri di accoglienza, anche per le donne italiane. Se stasera mi chiama una donna per un fatto grave, io non so dove metterla.



Sono le amministrazioni comunali, regionali a non essere all’altezza della necessità?

Anche quella nazionale. Se poi la donna ha anche un bambino è ancora peggio, non si sa dove metterla. Poi c’è una burocrazia insostenibile che non aiuta.

Ad esempio?

Per una donna vittima di violenza bisogna velocizzare ogni pratica. Sono persone nate in Italia, hanno fatto le scuole qui, per cui risultano allo Stato italiano, ma se chiedi la duplicazione di un documento è l’inizio di una odissea. Servono una sacco di autorizzazioni, quella dell’ambasciata, quella del consolato. Poi ti dicono: chiama tuo padre. Ma se questa ragazza sta fuggendo proprio da lui!

Secondo una intercettazione telefonica ancora non confermata, il padre di Saman avrebbe detto che ha dovuto farla uccidere perché aveva offeso il suo onore. Ricorda una mentalità che era comune anche nel nostro Paese, il delitto d’onore. Quindi non si tratta di un problema religioso, di appartenenza islamica?

È la mentalità del patriarcato, una mentalità culturale che si è cementata in quei Paesi islamici. Queste persone quando arrivano qui non è che arrivano in un deserto, arrivano in occidente. I Paesi che li ospitano dovrebbero mettere dei paletti.

In che senso?

Impedire che replichino qui da noi quel tipo di mentalità, esigere che i loro figli vadano a scuola, che le donne di famiglia possano uscire e lavorare liberamente. Io sono originaria del Marocco e le posso dire che in Marocco quello che è successo a Saman non succede, purtroppo succede in Italia.

C’è un dato di fatto, la difficile integrazione di queste persone, che spesso si rinchiudono tra di loro, formando una specie di ghetto, rifiutandosi di avere contatti con chi li ospita. È così, no?

Infatti. Ma se ci fossero leggi precise che dicono: qui ci sono alcune regole da rispettare, se non le accettate non vi diamo il permesso di soggiorno e se vi comportate sempre peggio vi espelliamo, le cose cambierebbero.

Però c’è chi dice che in questo modo si va contro la loro cultura, non si rispetta la loro libertà.

Questo è l’errore, questo è il motivo per cui l’occidente sta crollando. Io sono la prima a volere il rispetto delle culture e tradizioni straniere, ma nel momento in cui fai del male, allora non puoi restare. È quello che una certa sinistra ha fatto fino a oggi. Abbiamo sotto agli occhi l’esempio delle donne iraniane che scendono in strada e muoiono per dire no a questa mentalità patriarcale. Ma per molti chiedere a queste persone di rispettare la mentalità occidentale, vuol dire essere islamofobi. Che male c’è se queste persone si occidentalizzano? È un valore aggiunto ai loro, le donne musulmane devono crescere libere perché siamo in un paese libero.

(Paolo Vites)

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