Premessa: chi gode delle disgrazie altrui è un mediocre per definizione qualunque sia il posto che occupa nella scala sociale. Bene, il caso Sangiuliano – per definire sinteticamente il tormentone dell’estate che ha portato alle dimissioni il ministro della Cultura – si presta in modo speciale ad alcune osservazioni che nel fiume di quelle fatte e ascoltate in queste settimane non si ritrovano a sufficienza.



Per quanto si sia imbruttito l’animo umano, è stupefacente osservare le reazioni dei tanti che prima dell’incidente – chiamiamolo così – mai si sarebbero sognati di appellare, descrivere, ricordare il giornalista ex uomo di governo. Al contrario, le cronache e le esperienze vissute in presa diretta raccontano di battimano, abbracci, ricerca di attenzione (e quasi certamente di prebende).



Prima del fattaccio – i media sono pieni della vicenda che ha portato alla ribalta l’imprenditrice di Pompei Maria Rosaria Boccia, consulente mancata del dicastero con tutto quello che ne è seguito -, i sentimenti espressi dalla popolazione interessata a un finanziamento, un aiuto, una consulenza erano di approvazione se non di esaltazione della gesta dell’uomo oggi abbandonato al proprio destino.

Naturalmente saranno proprio quelli che hanno ricevuto di più – e che dovrebbero mostrare riconoscenza – i più lesti a prendere le distanze, i più radicali nel condannare i comportamenti, i più decisi nel censurare le scelte del loro benefattore. Che improvvisamente diventa inadatto a qualsiasi ruolo di comando come se una grande spugna avesse cancellato d’un tratto i meriti fino ad allora riconosciuti.



Gennaro Sangiuliano – Genny per gli amici e per tutti quelli che si sono accreditati come tali salvo poi a tagliare la corda – è un giornalista colto e preparato. Al ministero ha avuto il coraggio di scardinare interessi poco legittimi e privilegi che duravano da sempre mettendosi contro il potere della burocrazia e una nomenklatura autonominatasi depositaria del bene e del male.

Certo, avrebbe potuto evitare certi atteggiamenti che hanno irritato qualche interlocutore, avrebbe potuto ridurre il numero delle citazioni comprimendo così il rischio di sbagliarne qualcuna, avrebbe potuto evitare la sovraesposizione mediatica… Ma tutto questo con il senno di poi e circoscritto nell’ambito delle attitudini caratteriali della persona e dunque con poco peso nella vicenda.

Che poi, la vicenda, si caratterizza per una serie di errori di forma che se non ci fossero stati non avrebbero destato il clamore che abbiamo conosciuto alimentato da una gestione spregiudicata e amplificata della non consulente che si è rivelata essere un’abile utilizzatrice dei social e una spietata carnefice dell’uomo che fino a qualche giorno prima della rottura sembrava adorare.

Gli errori si pagano. E con le dimissioni dall’incarico di governo il nostro ha pagato un prezzo amaro nonostante sia pronto a dimostrare alla Corte dei conti e alla procura della Repubblica – dopo averlo fatto in tv – l’inconsistenza degli addebiti che gli sono stati mossi: l’aver cioè utilizzato denaro pubblico per i viaggi di lei e di averla messa al corrente di informazioni riservate.

La giustizia farà il suo corso (lento) e nel frattempo si assiste al linciaggio – basta dare uno sguardo alle cattiverie che passano in rete – di un uomo che ha ammesso le sue debolezze e ha chiesto pubblicamente scusa alle persone che ha ferito o messo in difficoltà. Per quanto sia diventata cinica e bara questa vita vale ancora il precetto aureo: chi è senza peccato scagli la prima pietra.

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