Il processo ad Alex Schwazer non s’ha da fare. Letta così, la richiesta di archiviazione firmata da un pubblico ministero potrebbe persino suscitare ironia, se l’argomento non fosse terribilmente serio. Sulla graticola processuale infatti Alex c’è da quattro anni e mezzo! E di certo non può farsi bastare che “gli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa” di doping volontario. Questo risultato il marciatore l’avrebbe potuto portare a casa già due anni fa dopo la perizia tossicologica del prof. Vincenti – come riconosce il pm – e non volle farlo. Né può accontentarsi di leggere che “sia innegabile che l’intera vicenda sia connotata da elementi di opacità.



Le 28 pagine del procuratore della Repubblica Giancarlo Bramante – oltre a ripercorrere le tappe dell’incidente probatorio più lungo della storia giudiziaria italiana – sono un collage delle argomentazioni accusatorie e difensive, ma alla fine non offrono alcuna chiave di lettura di quel che è capitato al non più indagato Alex Schwazer . Parafrasiamo: “sì, non è stato garantito l’anonimato ma non c’è prova di violazione della catena di custodia”; “certo, nel laboratorio di Colonia hanno mentito sulle aliquote di urina, hanno cercato di spacciarne una fuori dalla catena di custodia, si sono rifiutati di consegnare le provette originali ma non c’è prova di manipolazione”; “effettivamente la concentrazione di Dna nelle urine di Schwazer è anomala, ma la manipolazione è solo una delle tre cause possibili”.



Ora la palla passa al giudice delle indagini preliminari Walter Pelino: sarà lui a stabilire se archiviare o rinviare a giudizio l’atleta. Scontata la sintonia con la richiesta del PM, ma non è difficile pronosticare che le motivazioni della sua sentenza disegneranno uno scenario molto meno opaco di quello uscito dalle pagine del Procuratore.

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