Succede che un bravo cronista dell’agenzia Agi legga le parole del boss dell’atletismo mondiale Sebastian Coe: “Athletics Integrity Unit (AIU) e World Athletics (WA) sono assolutamente fedeli alla posizione che hanno assunto sul caso Schwazer”.  Succede che non si fossilizzi sul fatto che il capo della WA (prima si chiamava IAAF) parli indebitamente a nome di un organismo/tribunale sulla carta indipendente come la AIU. Succede invece che dal suo computer faccia partire una mail indirizzata alla AIU per ottenere un’intervista sul caso Schwazer. Succede che ottenga la seguente risposta: “Noi non ci occupiamo del caso Schwazer, dato che risale a un’epoca anteriore alla nostra esistenza (2017). Lo tratta esclusivamente la World Athletics”.



Che dire? Abbiamo un presidente della Federazione mondiale di atletica distratto oltre che arrogante? Oppure il balletto è un gioco delle parti? Ragioniamoci.

Con tanto di occhiali inforcati per leggere bene gli appunti, Coe nella conferenza stampa di giovedì post Consiglio direttivo non è andato a braccio quando ha dovuto precisare il suo articolato e minaccioso pensiero sul caso Italia/Schwazer. In effetti i suoi consiglieri giuridici lo avevano preparato bene sull’argomento: diamo un avvertimento chiaro alle istituzioni politiche, giuridiche e sportive italiane. Che non venga in mente a loro di prendere sul serio l’Ordinanza strampalata di quel giudice di Bolzano e di nominare ad esempio un pm che metta in piedi una inchiesta penale ai nostri danni sulla scia delle notizie di reato elencate nell’Ordinanza.



In effetti al momento il pm non è stato nominato e l’inchiesta penale non è decollata. Ma c’è un piccolo problemino. In quell’Ordinanza vi è un elenco di reati consumati dopo la sentenza del Tas o Cas (che dir si voglia) che ha condannato e squalificato Schwazer. Sono reati connessi all’incidente probatorio nell’ambito delle indagini preliminari che dovevano stabilire se rinviare a giudizio o archiviare la posizione penale del marciatore. Sono dunque avvenuti tra il 2017 e il 2020, quando cioè la Athletics Integrity Unit (AIU) era già costituita e operativa!

Dunque, Sebastian Coe sarà sì arrogante, ma non distratto. Perciò questi reati segnalati da un giudice italiano riguardanti dipendenti della ex IAAF, ora World Athletics, sono di stretta pertinenza del Comitato etico preso in carica dalla Athletics Integrity Unit (AIU) e dal suo Tribunale disciplinare. Chiamarsi fuori è una furbata meschina (oltre che illecita) per non essere costretti ad acquisire gli atti dalla magistratura italiana e a valutare l’operato di un proprio dipendente.



Ma poi su chi dovrebbe pronunciarsi il facente funzione di Comitato etico della AIU? Su uno – tuttora nell’organigramma della AIU come manager – accusato dal Tribunale di Bolzano di frode processuale e che risponde al nome di Thomas Capdevielle. Guarda caso, Thomas Capdevielle è vicedirettore della AIU e dalla sua fondazione ha continuato a ricoprire l’incarico di responsabile dei controlli antidoping. Capito?