Non si andrà alla conta sul caso Siri, ha assicurato ieri il presidente del Consiglio Conte. Eppure, i due vicepremier non si risparmiano colpi. A rinfocolare l’offensiva anti-Siri è arrivata la notizia che la procura milanese sta indagando sul mutuo acceso dal sottosegretario con una banca di San Marino per l’acquisto di un immobile a Bresso, in provincia di Milano. Via Siri, dunque, è questa la linea di Di Maio, che però sostiene di non voler aprire nessuna crisi. Lo stesso dice Salvini. “Non succederà nulla, sono tutte schermaglie tattiche e propagandistiche” dice Fabrizio d’Esposito, cronista e commentatore politico del Fatto Quotidiano. “L’ipotesi più verosimile è che la Lega non andrà in Consiglio del ministri per evitare la conta”. Insomma si troverà un compromesso, l’ennesimo, sulla strada che porta alla scadenza vera, quella del voto europeo, nel quale sono riposte le speranze dei due alleati-avversari politici.
Salvini dice che mercoledì andrà in Consiglio dei ministri tranquillo. Com’è possibile?
Sì perché non succederà nulla. A meno di epiloghi clamorosi, sono tutte schermaglie tattiche e propagandistiche.
Però i 5 Stelle continuano a chiedere la testa di Siri.
Sì, ma Salvini ha già fatto capire da tempo che la Lega non manderà a casa il governo per questo. Se poi Salvini intende mettere in mezzo anche altri temi, come l’autonomia, è un’altra questione, ma la data delle europee è così ravvicinata che si troverà un compromesso.
C’è l’ipotesi che Siri si dimetta prima del Cdm?
Difficile dirlo. Per me l’ipotesi più verosimile è che la Lega non andrà in Consiglio del ministri per evitare la conta, perché se si vota allora sì che si apre la crisi di governo. Salvini e i ministri leghisti potrebbero semplicemente disertare la seduta, lasciando ai 5 Stelle la decisione collegiale di revocare Siri. Dal punto di vista formale, la decisione si risolverebbe con la firma di Conte e Toninelli, ma avrebbe certamente una forte valenza politica.
Perché Salvini starebbe bluffando?
Aprirebbe una crisi di governo per salvare un semplice sottosegretario accusato di aver fatto lobby a favore di un prestanome della mafia? Non sarebbe il massimo per un ministro dell’Interno.
La Lega è divisa al suo interno. Non è un segreto che Giorgetti e Zaia vorrebbero sbarazzarsi di M5s il prima possibile.
Che dentro la Lega ci sia un partito del Nord che non è contento di stare al governo con i 5 Stelle è un dato di fatto. È chiaro che questa situazione di crisi, che poi non sappiamo essere più di tattica o più di sceneggiata, rafforza tutti coloro che vorrebbero tornare al centrodestra classico.
Il punto allora qual è?
Che ogni possibile mal di pancia interno alla Lega ha un argine che sta nel carisma e nel consenso di Salvini. È Salvini che comanda e senza di lui la Lega non va da nessuna parte, a meno che chi non è d’accordo non si prenda la responsabilità pubblica di fare un ribaltone, o convinca Salvini a fare un passo indietro.
È più importante per il governo il Cdm di mercoledì o il voto del 26 maggio?
Senza dubbio il secondo, perché permetterà a Salvini di capire cosa resta di Forza Italia. Se il partito di Berlusconi fosse al 6-7%, Salvini potrebbe formare un nuovo centrodestra con ambizioni di governo fatto da Lega, Fratelli d’Italia, Giovanni Toti più quel che resta di FI.
La Procura di Milano ha aperto un fascicolo conoscitivo, dunque senza ipotesi di reato né indagati, sul mutuo contratto da Siri per acquistare un immobile a Bresso.
La magistratura fa il suo lavoro, non ho mai creduto alla giustizia a orologeria. È la politica che deve fare le sue valutazioni. Quest’ultimo sviluppo mi convince ancor di più dell’opportunità che Siri si faccia da parte, perché rischia di essere indagato una seconda volta.
Di Maio ha impresso a M5s una svolta anti-salviniana, dimenticandosi forse di essere al governo con il capo della Lega. Quali frutti darà questa politica?
Lo ha fatto dopo aver visto che le altre strade – richiamare in servizio Di Battista, dare supporto ai gilet gialli, attaccare l’europarlamento e via dicendo – non davano frutti. Io penso che M5s possa recuperare qualche punto; è chiaro che non potrà bissare il risultato del 4 marzo 2018, i sondaggi lo danno al 20-21%, a mio avviso può ambire al 25%.
Come valuti le aperture a M5s arrivate da un esponente di rango del Pd come Delrio?
Sono l’inizio di un lungo processo. Lungo perché l’avvicinamento dei due partiti non si può avere subito, ma con estrema gradualità. Nondimeno quello di Delrio, che è un segnale importante, è stato subito rispedito al mittente da chi quel segnale non può permettersi di recepire, perché l’apertura chiederebbe una vittima sacrificale che si chiama Luigi Di Maio.
La strategia di Zingaretti?
Zingaretti non può aprire adesso una fase nuova con i 5 Stelle; per farlo da una posizione di forza deve preoccuparsi di prendere più voti possibili mettendo insieme tutti, da Calenda a Pisapia, per superare l’asticella del 20%. Poi, con la nuova Italia che uscirà dalle europee, si vedrà se ci sarà subito o no il lavacro delle urne anticipate. Il momento che Zingaretti aspetta per mandare i suoi in Parlamento.
A chi andrà il voto cattolico moderato?
Non penso che la Chiesa controlli il voto cattolico come ai tempi della Dc, non bisogna dimenticare però che l’Italia è il paese che ha fatto mancare il quorum ai referendum sulla procreazione assistita. Vuol dire che la Chiesa è ancora molto forte. Tuttavia è chiaro che la maggioranza del voto cattolico oggi va a M5s e Lega.
Questo ha qualcosa a che vedere con le posizioni dei tradizionalisti?
No, la capacità di movimento di quella che io chiamo destra clericale, che fa leva su posizioni e argomenti politico-teologici, è grandemente minoritaria. Vuol dire che i cattolici votano M5s e Lega senza per questo riconoscersi nelle tesi del congresso di Verona o in quelle del network anti-Bergoglio, e lo fanno anche se sui migranti le posizioni di Papa Francesco e di Salvini sono antitetiche.
(Federico Ferraù)