Nel tessuto complesso del conflitto siriano emerge un quadro di manipolazione e strategie calcolate che sfidano la narrativa di una semplice rivolta popolare. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le sollevazioni in Siria, spesso attribuite a una coalizione di forze moderate come il Free Syrian Army, nascondevano realtà più intricate. La vera forza motrice dietro questi movimenti era Jabhat al Nusra, un braccio di al Qaeda in Siria, suggerendo una sollevazione meno spontanea e più orchestrata. Questi eventi non erano isolati, ma parte di un disegno più ampio, già delineato nel 2006 dall’ambasciatore americano a Damasco, William Roebuck. Roebuck identificò le vulnerabilità del regime di Bashar al Assad come opportunità per gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita di instaurare un cambio di regime, un piano iniziato sotto l’amministrazione Bush e proseguito senza interruzioni sotto Obama. Questo dimostra come la politica estera degli Stati Uniti sia rimasta coerente al di là dei cambiamenti presidenziali.
Ulteriore luce viene gettata su questo schema da documenti risalenti al 1957, sotto l’amministrazione di Eisenhower e del primo ministro britannico Macmillan, che delineavano un piano CIA/MI6 per inscenare incidenti sotto falsa bandiera in Siria, giustificando così un intervento militare. Questi dettagli emersero nel 2003 grazie al lavoro di Matthew Jones, ricercatore di storia internazionale, nei documenti privati di Lord Duncan Sandys, all’epoca segretario alla Difesa nel governo Macmillan. L’elemento di inganno prevedeva di assassinare politici siriani e stimolare tumulti interni, sfruttando la Fratellanza Musulmana già forte in quel periodo. La CIA e il MI6 erano pronti a eseguire sabotaggi e incidenti, aumentando la tensione e facendo apparire la Siria come fonte di complotti contro i Paesi vicini. Questa manipolazione si è rivelata ancora più chiara nell’agosto 2011, quando Yossef Bodansky denunciò la natura organizzata e ben finanziata della sollevazione, evidenziando violenze e uccisioni di civili e forze di sicurezza. Questi atti di violenza erano mirati a distruggere il tessuto sociale del Paese, sfruttando la Fratellanza Musulmana e i suoi sponsor internazionali per manipolare il malcontento popolare verso una jihad più ampia.
Secondo quanto riportato da Human Rights Watch all’inizio del 2012, le atrocità compiute dai cosiddetti ribelli “moderati”, inclusi arresti arbitrari, uso sistematico della tortura, decapitazioni ed esecuzioni sommarie, indicano una situazione ben più grave e organizzata. Questi crimini, spesso sottovalutati dai media occidentali, suggeriscono un coinvolgimento più profondo di forze esterne nella destabilizzazione della Siria. Philip Giraldi, ex agente della CIA, nel 2011 aveva già confermato la presenza di forze speciali e supporto di intelligence da parte degli Stati Uniti ai ribelli siriani. L’articolo cita anche l’atterraggio di aerei NATO non identificati in Turchia, vicino al confine siriano, che trasportavano armi e volontari dall’arsenale libico. Ulteriormente velivoli della Royal Saudi Air Force e del Qatar sono stati coinvolti nel trasporto di forniture militari verso la Siria, rivelando una rete di supporto internazionale ai gruppi ribelli.
Con ciò non vogliamo dipingere unilateralmente il regime siriano e i suoi alleati come innocenti; piuttosto sottolineare la complessità del conflitto, che non si riduce a una semplice dicotomia di “buoni” e “cattivi”. La Primavera Araba in Siria si rivela come parte di un più ampio progetto di ingegneria geopolitica, finalizzato a frammentare la regione lungo linee etniche e settarie. Il coinvolgimento di gruppi come Al Qaeda e ISIS, con il proclama di un califfato da parte di Abu Bakr al Baghdadi nel 2014, ha portato a una catastrofe per diverse comunità nella regione, inclusi alawiti, curdi, yazidi, drusi, sufi e sunniti laici e moderati. La situazione è stata particolarmente tragica per le comunità cristiane, che hanno subito violenze estreme.
Il supporto turco ai gruppi ribelli è stato un altro elemento chiave in questo contesto, come rivelato da Seymour Hersh, indicando che il governo di Erdogan ha supportato per anni Jabhat al Nusra e successivamente lo Stato Islamico. Questo sostegno ha incluso l’infiltrazione di armi in Siria attraverso reti complesse, coinvolgendo anche la Fratellanza Islamica. La Turchia ha giocato un ruolo rilevante. L’obiettivo a lungo termine di Recep Tayyip Erdogan sembra essere stato quello di creare una zona cuscinetto lungo il confine turco fino ad Aleppo. Questa area sarebbe servita come terreno di addestramento per i combattenti, supportando la ribellione in Siria e alimentando il sogno neo-ottomano di Erdogan. L’ISIS ha giocato un ruolo chiave in questo scenario, fungendo da forza militare per procura, con la provincia di Idlib come ultimo baluardo jihadista sostenuto da Ankara.
Ma anche il Qatar emerge come un altro attore significativo, specialmente per il suo ruolo nella proposta di costruzione di un gasdotto che avrebbe collegato il giacimento North Dome in territorio qatariota con l’Europa, attraversando l’Arabia Saudita, la Siria e la Turchia. Questo progetto, supportato da Washington e dai Paesi sunniti, si è scontrato con un’alternativa proposta da Russia e Iran, che nel 2009 offrirono ad Assad un accordo per il trasporto del gas dal South Pars iraniano. Questo secondo corridoio avrebbe collegato Port Assalouyeh in Iran a Damasco, estendendosi fino al Libano e potenzialmente alla Grecia. Entrambi i corridoi con i relativi gasdotti avrebbero necessitato del passaggio attraverso la Siria, rendendo il controllo del Paese cruciale per il successo di questi progetti.
La rimozione di Assad e la sua sostituzione con un governo più allineato agli interessi occidentali sarebbe stata quindi una mossa strategica per assicurare il corridoio sunnita. Robert F. Kennedy Jr. ha sottolineato come le aree controllate dallo Stato Islamico coincidessero con il percorso del corridoio energetico proposto dal Qatar, rivelando così una correlazione tra geopolitica e conflitto armato. In questo complesso contesto, chi controlla la Siria non solo domina le risorse energetiche del Mediterraneo e del Golfo, ma anche gli accessi strategici come la Via della Seta, detenendo così un potere significativo nel panorama geopolitico regionale e globale.
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