Proprio un anno fa, Stefano Piazza, studioso ed esperto di terrorismo internazionale, ci diceva in una intervista come senza dubbio la pista del caso Skripal puntasse a Mosca, nelle più alte sfere del regime, se non addirittura a Putin in persona.
Il caso della ex spia russa Sergei Skripal, passato al servizio di Sua Maestà e per questo incarcerato per tradimento, poi rilasciato grazie a uno scambio di spie, fece molto scalpore all’epoca. Skripal e la figlia, avvelenati con un gas prodotto esclusivamente in Russia negli anni 70 e 80, il Novichok, se la cavarono, ma ad andarci di mezzo fu una donna inglese che con il marito aveva ritrovato casualmente la boccetta di profumo portata dalla Russia e nella quale era contenuto il gas. Morì, e l’allora premier May scatenò le sue ire cacciando numerosi funzionari diplomatici di Mosca e anche privati cittadini.
Oggi giunge la conferma alle parole di Piazza, dopo che un documentario curato dalla Bbc ha rivelato che in Inghilterra in quei giorni c’era anche un generale dell’intelligence russa, l’organizzatore del piano messo poi in atto da due colonnelli della stessa intelligence: “Possiamo fare tutti i ragionamenti che vogliamo, ma la pista punta a Mosca, non si discute” ci disse allora Piazza e oggi conferma la stessa versione.
La vicenda comunque resta avvolta nel mistero: come è stato possibile che Skripal, una volta trasferitosi in Inghilterra, tenesse conferenze pubbliche sui sistemi di sicurezza russi? Come poteva pensare che Mosca non avrebbe reagito? “Quando si parla della Russia e dei suoi sistemi di sicurezza e di intelligence bisogna ragionare in termini completamente diversi dagli standard occidentali” spiega oggi Piazza. “E’ difficilissimo comprendere le dinamiche di queste strutture, molto spesso autoreferenziali, che agiscono in base a dinamiche interne spesso dettate da logiche di governo. Cosa facesse quest’uomo a Londra, perché tenesse conferenze e perché ciò gli fosse consentito è semplicemente un mistero”.
LA LUNGA MANO DI PUTIN
Viene il dubbio che più che una vendetta, come suggerì lo stesso Putin in un’intervista (“Il tradimento è il più grave dei crimini e i traditori devono essere puniti”), si sia voluto metterlo a tacere: “Non saprei, se è questo o se ci sono altre cose. Tra Regno Unito e Russia resta una lunga tradizione di spie che da un paese vanno nell’altro e viceversa. Non è detto che sia per questo che si sia cercato di ucciderlo. Sullo sfondo possono esserci altre ragioni, altre dinamiche, come scambi di informazioni o anche di materiali, oppure uno sgarbo che lui ha pagato: sono cose che non sapremo mai”.
Cosa rimane a un anno di distanza della grande indignazione del governo inglese? L’impressione è che in casi come questi, oltre alle parole pesanti non si possa fare altro: “Non è vero, lo stato dei rapporti fra i due paesi è ancora molto teso. Ci sono numerosi cittadini russi che furono espulsi o non venne loro rinnovato il permesso di soggiorno. C’è il caso del presidente del Chelsea, Abramovic, espulso da Londra e che da allora vive in Israele. Questa vicenda ha lasciato dei rancori e dissapori e dato che è l’ultima di una serie di episodi inquietanti, prima che i rapporti tra i due paesi si possano definire distesi ci vorrà molto tempo”.