Le canzoni non sono solo forme di intrattenimento, ma anche potenti mezzi per veicolare sentimenti e ideali. La musica possiede un linguaggio universale capace di entrare in sintonia con le parti più profonde dell’animo umano, amplificando il potere delle parole. I testi, grazie alla melodia che li accompagna, acquisiscono infatti una forza in grado di suscitare emozioni, ispirare sogni, stimolare riflessioni e, in alcuni casi, persino innescare cambiamenti sociali e culturali. Compositori e autori ne sono consapevoli e usano questo strumento potentissimo per trasmettere i loro messaggi. Tuttavia, proprio a causa dell’enorme influenza che la musica può esercitare, è fondamentale che i contenuti veicolati abbiano una solida base etica e morale.
In passato, le canzoni affrontavano temi universali e trasmettevano valori positivi, come la pace, l’uguaglianza, la libertà, l’amore. I testi erano spesso poetici e suggestivi, struggenti nella loro bellezza e dirompenti nel loro significato. Alcuni erano veri e propri manifesti di denuncia sociale, incitavano a ribellarsi contro le ingiustizie e i soprusi, davano voce a chi non ne aveva. Brani leggendari come “Blowing in the Wind” di Bob Dylan o “Imagine” di John Lennon, e tanti altri, hanno plasmato intere generazioni, incoraggiando i giovani a inseguire i loro sogni e lottare per un mondo migliore.
Oggi, in una realtà dominata dalla comunicazione rapida e globale, le canzoni continuano a mantenere la loro funzione divulgatrice, ma il contesto in cui vengono prodotte e ascoltate è cambiato. Sempre più spesso l’ascolto musicale si riduce a un consumo veloce e superficiale, ed è rappresentato da brani dal successo effimero. Questo cambiamento ha favorito la proliferazione di prodotti di scarso valore artistico, con testi dal contenuto banale o diseducativo. Purtroppo, questi brani occupano ormai un ruolo centrale nella cultura musicale giovanile. Se da un lato alcuni artisti continuano a trasmettere messaggi di speranza e riscatto, dall’altro preoccupa la diffusione di pezzi che promuovono contenuti violenti, sessisti e dannosi, i quali rischiano di avere un impatto negativo sui giovani e sulla società in generale.
Un caso emblematico è rappresentato dal rapper Tony Effe, escluso dal concerto di fine anno a Roma. La vicenda ha portato alla luce un fenomeno inquietante e, purtroppo, sottovalutato o ignorato dalla maggior parte della popolazione adulta. Molti genitori hanno infatti scoperto, in questa occasione, che i loro figli stanno crescendo ascoltando le raccapriccianti parole contenute nei brani di rapper come lui. Ecco alcuni esempi: “«Lei la comando con un joystick / Non mi piace quando parla troppo / Le tappo la bocca e me la f… Volano schiaffi da ogni parte (…) Sono Tony, non ti guardo nemmeno / Mi dici che sono un tipo violento/ Però vieni solo quando ti meno». Oppure «Ti sputo in faccia solo per condire il se**o, Ti chiamo “putt**a” solo perché me l’hai chiesto, Ti sbavo il trucco, che senza stai pure meglio, Ti piace solamente quando divento violento, Solo di notte ci capiamo, Non gridare sennò mi arrestano».
Questo genere di contenuto trova terreno fertile soprattutto tra i più giovani, i quali, privi di strumenti valutativi adeguati, tendono ad assorbire acriticamente i messaggi veicolati dalle canzoni. La musica, in questo caso, non funge più da strumento di crescita e riflessione, ma può legittimare e diffondere comportamenti tossici e violenti.
A questo punto, la domanda che sorge spontanea è: perché personaggi come Tony Effe riescono a riscuotere successo, benché non possiedano particolari doti artistiche o musicali? Per quale motivo continuano a essere promossi da media, case discografiche, piattaforme streaming e stampa?
Sorprende soprattutto il sostegno ricevuto da parte di alcuni artisti, tra cui spiccano diversi nomi femminili, che invocano la libertà di espressione artistica per giustificare questi contenuti profondamente negativi. Quale credibilità potranno avere queste stesse artiste quando si schiereranno contro la violenza di genere, dopo aver legittimato testi che la banalizzano o addirittura la esaltano?
In un’epoca in cui le fiabe tradizionali come Biancaneve e Cenerentola vengono riscritte perché il bacio del principe non è consensuale, trascurando che queste storie celebrano valori universali come il potere dell’amore e la vittoria del bene sul male, risulta paradossale che testi musicali in cui le donne vengono ridotte a oggetti del piacere, da maltrattare e umiliare, vengano accettati e addirittura celebrati.
Un episodio recente di questa contraddizione si è visto anche a Milano, dove è stata rifiutata l’esposizione di una scultura di Vera Amodeo raffigurante una donna che allatta un neonato, con la motivazione che potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno. Come spiegare allora che vengano invece tollerati brani musicali che trasmettono ai giovani messaggi aberranti, come l’idea che “le donne amano farsi picchiare”?
Questi esempi sollevano interrogativi sulla coerenza dei valori che la società sceglie di promuovere o censurare. Mettono in luce un’ipocrisia sempre più diffusa, in cui i parametri del politicamente corretto sembrano applicarsi in modo arbitrario e incoerente. Si sta creando una società dove il timore di essere esclusi, censurati o etichettati prevale sul coraggio di esprimere un giudizio autonomo e onesto. Artisti, intellettuali e persone comuni sembrano seguire un copione prestabilito, rinunciando alla capacità di analizzare obiettivamente le situazioni e difendere valori autentici.
Il risultato è una cultura che favorisce il conformismo, in cui il dibattito libero e la creatività vengono soffocati da un clima di paura e autocensura. Questo meccanismo non solo impoverisce il panorama artistico e sociale, ma indebolisce anche la possibilità di affrontare queste problematiche in modo costruttivo, efficace e sincero. Con il rischio di produrre una società sempre più alienante e disconnessa.
Resta da chiedersi se questa deriva culturale sia un processo casuale o il risultato di una precisa strategia.
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