È un peccato. Non che Toti abbia patteggiato, quello rientra tre i suoi diritti, nessuno può essere costretto ad anni di processi, udienze ed esposizione mediatica se non se la sente o non gli conviene. È un peccato perché non sapremo se era innocente o colpevole. La scelta processuale evita ogni approfondimento e segna un punto per la strategia della Procura di Genova, che ha tenuto Toti ai domiciliari fino alle dimissioni e poi gli ha concesso il patteggiamento, davvero minimo, a fronte di tre anni di intercettazioni, milioni di euro spesi in straordinari di agenti ed operatori, decine di persone coinvolte per anni per fargli fare, alla fine, qualche ora di volontariato. Come se avesse bevuto un goccio in più a cena e dovesse redimersi, il sospetto è che lo scambio dimissioni/patteggiamento possa essere reale. Anche perché se lo si riteneva talmente pericoloso da fargli fare mesi di arresti, ora lo si lascia libero di agire con una pena talmente ridotta da non far scattare neppure l’incandidabilità.
Per essere chiari, Toti potrà farsi rileggere a breve. Perciò la cosa che colpisce è che sia lasciato intatto quel diritto a farsi eleggere ad un soggetto ritenuto di fatto esponente di un sistema politico considerato criminale. Niente carcere, niente incandidabilità, nessuna ammissione di colpa, solo le dimissioni. Questo voleva la Procura? Che si dimettesse per farsi eventualmente rieleggere o portare a casa la condanna di un reo?
Questa vicenda la dice lunga su quanto sia impastato, direbbero gli psicoterapeuti, il rapporto tra politica e magistratura. Nel loro gareggiare su chi comanda, alla fine il compromesso non soddisfa nessuno. Ai manettari farà specie che Toti possa legittimamente tornare a fare politica. Agli amanti del diritto non si dà l’opportunità di capire se le tesi della Procura di Genova avrebbero retto in tribunale. Nel mezzo resta quella dannata incertezza per cui non si capisce come si debba comportare un eletto ad una carica. Deve chiedere aiuto a chi lo supporta? O restare chiuso nella torre eburnea rinnegando amici o alleati che lo hanno supportato?
Detto con chiarezza, solo la vicenda Open che ha coinvolto Renzi è andata in fondo ed è stata riconosciuta inconsistente la tesi che un’associazione politica, un partito di fatto, sia assimilabile ad un patto tra scellerati. Il resto è un grigio territorio di mezzo in cui si muovono le procure che usano risorse, mezzi e tempi per far dimettere le persone che possono poi farsi rieleggere. Più un’operazione di sfiducia politica che un vera operazione giudiziaria. Alla fine è come dice la vulgata: prima li arresti ed il giorno dopo tornano liberi di fare quello che vogliono. Ha senso tutto ciò? A naso, no. È una pessima idea di giustizia quella che vede un suo obiettivo nell’abbattimento di un politico e non nel perseguire i reati. Ma è una pessima idea di politica quella che non vuole far chiarezza nel rapporto tra operatori economici e sociali, imprese e politici preferendo navigare in una pericolosa terra di mezzo.
Poteva essere l’occasione per riflettere e fare un passo in avanti verso la definitiva chiarezza dei rapporti tra questi mondi. Ma alla fine è finito tutto a tarallucci e vino. Invece che avere un reato ed un reo, giustizia e chiarezza per le ragioni di Toti, e un nuovo e più moderno rapporto tra politica e magistratura, ognuno porta a casa qualche briciola ed un sorso di vino di cui si dirà soddisfatto nei suoi interessi.
Poteva essere un grande campagna per chiedere finalmente un passo in avanti e schierarsi dalla parte della giustizia vera e della chiarezza delle norme. Poteva, essere un vero momento di crescita civile capire cosa era accaduto e come evitare che riaccadesse, in tutti sensi. Poteva essere l’occasione per chiarire che non sono le procura a sfiduciare in politici. Poteva, ma non è stato. Che peccato. Per noi, non per Toti. Lui ha fatto ciò che doveva, proteggersi. Lasciando tutti nel dubbio.
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