Fermiamoci un attimo. E ragioniamo per assurdo. E se Giovanni Toti alla fine di un lungo ed accidentato percorso giudiziario venisse assolto dalle accuse di corruzione? Le accuse mosse dalla magistratura genovese sono pesanti, ma non è affatto detto che reggano alla prova del processo. E che l’ipotesi debba essere presa in seria considerazione lo affermano apertamente anche esperti di diritto non propriamente schierati a destra.



Intendiamoci, le carte dell’inchiesta hanno portato alla luce un sistema di commistioni fra politica ed affari che pare cinico e disinvolto. Ma, dal momento che la responsabilità penale è personale (art. 27 della Costituzione), per ciascuno dei coinvolti la colpevolezza deve essere provata dalla pubblica accusa (e non il contrario). Potrebbe accadere per alcuni (qualche imprenditore?), e non per il livello politico. Lo ha ricordato anche il guardasigilli Nordio: assurdo dire che Toti debba provare la sua innocenza. È vero il contrario.



Non a caso nelle prime battute il presidente ligure non si è dimesso, e la sua difesa ha scelto la strada dell’ avvalersi della facoltà di non rispondere, in attesa che la Procura scopra le carte. Di una cosa, però i difensori si sono detti certi: che tutti i finanziamenti ricevuti dalla formazione politica di Toti sono tracciabili e regolarmente denunciati.

Come finirà questa vicenda sarà solo il tempo a dirlo, ma i precedenti autorizzano i dubbi. Basti ricordare come siano cadute dopo anni le accuse al governatore calabrese Mario Oliverio, o a quello lucano Marcello Pittella, a come si siano ridimensionate quelle a Ottaviano Del Turco, mosse quando guidava l’Abruzzo. Oppure, per restare in ambito ligure, a come negli anni Novanta ci siano voluti quattro anni per restituire l’onorabilità a Claudio Burlando, all’epoca sindaco di Genova. E questo perché la politica è mediazione, un presidente di Regione, o un primo cittadino, parla con tutti, e non è detto che questo sia automaticamente reato.



Nel frattempo, però, il danno politico c’è stato. Danno sostanzialmente irreparabile per Toti, amplificato dal fattore temporale, un arresto a un mese di distanza da un importante turno elettorale europeo ed amministrativo. L’accusa di procedimento “a orologeria”, scattata da alcuni settori del centrodestra, arroventa il clima già caldo della discussione sulla riforma della giustizia targata Nordio con la separazione delle carriere, che è stata al centro del congresso ANM di Palermo chiusosi domenica con toni da allarme democratico.

È però dentro la maggioranza che va registrata la divaricazione politica più significativa. Perché da Palazzo Chigi è filtrato il disappunto della premier Meloni per le mancate dimissioni immediate di Toti dalla presidenza della Regione Liguria, ma con il passare dei giorni la lista di coloro che hanno suggerito al giornalista prestato alla politica di resistere è andata allungandosi. Dalla Lega al ministro della Difesa Crosetto sino a quello della Protezione civile Musumeci e (più cautamente) al vicepremier e leader di Forza Italia Tajani. Il progressivo irrigidimento del centrodestra è un fatto politico in sé, perché Toti non è un governatore qualsiasi, è un personaggio politico di caratura nazionale, presidente del Consiglio nazionale di Noi Moderati, quarta forza della maggioranza, e nel passato considerato uno dei delfini possibili di Berlusconi.

Crosetto è parso da subito il più duro. Ha puntato il dito contro la tempistica e parlando di pm politicizzati che stravolgono le leggi. Il primo effetto del caso Toti, quindi, è di allargare il fossato fra magistratura e centrodestra, e probabilmente finirà per accelerare i tempi della riforma Nordio, anche se non manca chi nei corridoi dei palazzi sussurra il timore di un’ondata di azioni giudiziarie contro esponenti del Governo e dei partiti che lo sostengono.

Di certo, si ripropongono ancora una volta tre problemi che in Italia non sembrano trovare soluzioni accettabili. Il primo è la difficoltà a definire ruoli e funzioni, e quindi reati compiuti dai pubblici amministratori nell’esercizio delle proprie funzioni. Il secondo, il finanziamento della politica. Il terzo, più generale, è il rapporto fra politica e giustizia. Un anno dopo la morte di Berlusconi questo nodo è ancora tutto intero sul tappeto. Dimostrando che il problema non era soltanto Silvio Berlusconi.

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