Caro direttore,
“Adescate il nemico con la prospettiva di un vantaggio e conquistatelo con la confusione” è una massima di Sun Tzu, filosofo e stratega cinese del VI/V sec. a.C. Roberto Vannacci classe 1968 da La Spezia queste parole le conosce sicuramente, bene. E le ha attuate con rigore dando alle stampe una bomba atomica fatta libro, Il mondo al contrario. Forse a 55 anni, generale di divisione, Roberto ha capito che la sua carriera era finita, anche per il cambio al potere rispetto ai Governi progressisti che lo avevano nominato, sostenuto e ringraziato per i suoi alti servigi. Magari si è reso conto che l’Istituto geografico militare, istituto comunque prestigioso, sarebbe stato alla fine il suo cimitero degli elefanti e con questo colpo di coda, mentre è ancora in servizio, cerca di ricavarsi uno spazio altro a divisa dismessa.



Forse aveva bisogno di un gran finale col botto per iniziare una nuova vita, magari in politica. Dopotutto quel “salga a bordo cazzo” detto a Schettino ha fruttato a Gregorio de Falco un posto al Senato della Repubblica, e la scadenza del 2024 è vicina. Dico forse. Quale esca migliore per un nemico politico mediatico, vero o figurato che sia, se non una questione di inclusione sociale? Quella di un veterano del deserto iracheno, un orco pluridecorato, che picchia duro sul vespaio dei diritti civili e delle minoranze.



“Non mi aspettavo un simile polverone…”. Certo che no. Il generale il polverone lo ha cercato, lo ha creato. Ha messo in fila una serie di elucubrazioni, condivisibili o meno, sulla difesa della razza, dai migranti alle minoranze, alle occupazioni abusive. Ha sparato anche sul totem sanremese di Paola Egonu.

Dopo aver scatenato il vespaio, non ha mai fatto un passo indietro. Si è rifugiato con protervia nel trito e ritrito concetto “le mie parole sono stare fraintese e le frasi decontestualizzate”. Sembrava di sentire Roberto Saviano quando con la sua faccia di bronzo insiste a voler definire bastarda la presidente del Consiglio, impunemente, altrimenti è dittatura. Che doveva fare il ministro Crosetto se non rimuoverlo velocemente in via cautelare? La sinistra che attraverso ben due ministri, Pinotti e Guerini, aveva guidato e sostenuto Vannacci nel suo cursus honorum, ora a gran voce ne chiede la testa. Da tutte le parti ci si azzuffa a parole sul libro. Una minoranza, in Parlamento e nel Paese, attacca il generale perché non condivide il suo pensiero. La maggioranza politica accusata a giorni alterni di simpatie fasciste gli va dietro frastornata. La maggioranza del Paese reale lo difende ritenendo sacrosante le sue riflessioni e riconoscendosi nel suo “mondo al contrario”. Lo spirito dell’eterno tifoso che pervade ogni italiano esplode, e come diceva Winston Churchill noi italiani andiamo allo stadio come se andassimo in guerra. Ecco qua, il generale ha lanciato l’esca, la politica ha abboccato facendo la prima mossa. Il caos è servito.



Il dato di fatto dice che in un battito di ciglio, con un libro autoprodotto, lo sconosciuto Roberto Vannacci è in testa alle vendite Amazon. La recentemente defunta Michela Murgia, osannata e promossa, culturalmente e mediaticamente, in tutti i circoli radical chic è al secondo posto. Facciamoci una domanda e diamoci una risposta. Forse il generale ha raggiunto i suoi obiettivi. Se non la celebrità letteraria di sicuro una visibilità incancellabile che, nel mondo dei like in cui viviamo, darà i suoi frutti.

Non cadrò nella trappola del tifoso che al lunedì compra il giornale per sentire le lodi della sua squadra del cuore. Dico questo perché non mi interessa giudicare le capacità letterarie e intellettuali di un uomo che ha ben dimostrato in altri settori il suo valore. Quello che mi preme è far luce su un altro aspetto della vicenda.

Assistiamo, in mezzo a questa baraonda mediatica, alla formazione di due fazioni. Una fazione difende a morte il libro e il generale perché ne condivide le idee. Una fazione li attacca ferocemente e vorrebbe tacitarli, perché non li condivide. Mancano all’appello, o tacciono, coloro che pur dissentendo dai contenuti intellettuali di Vannacci ne difendono la libertà di parola.

Al proposito, l’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, UDHR del 1948, recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione”.

Questo enunciato, perfettamente calzante ai fatti, serve a tutelare anche le idee più estreme purché restino nel perimetro della legge, ed è un principio fondante della nostra democrazia e di quelle occidentali. Nonostante questo, ed è grave, sempre più spesso assistiamo a casi di persone che perdono lavoro, reputazione e ruolo sociale per aver espresso idee estranee al mainstream. Non è questo il caso. Il generale fa proprio leva sul baccano mediatico e si propone come campione di una fazione. Ma una sorta di tribunale ombra, senza giudizio e senza appello, espone i divergenti alla gogna mediatica e a fortissime pressioni sociali che ne provocano alla fine la messa al bando. La libertà di parola sarebbe superflua se proteggesse solo le idee comuni e accettate, essa invece serve proprio a consentire l’espressione di concetti scomodi anche indegni, ma che non possono definirsi discorsi d’odio. Senza andare a cercare esempi di personaggi e intellettuali, anche nostrani, e ce ne sarebbero, basta dire che Vannacci non ha infranto alcuna legge. Ha espresso le sue opinioni da uomo libero, solo opinioni. Ciononostante, molto velocemente, senza una procedura legale, Vannacci è stato rimosso, in barba allo stato di diritto, senza essere riconosciuto colpevole di alcunché. Processato e condannato solo dalla pressione mediatica. E queste condanne si moltiplicano in una specie di pandemia censoria.

Per il resto è notizia fresca che Roberto Vannacci ha ricevuto l’offerta per candidarsi al collegio di Monza nel posto in Senato reso vacante da Silvio Berlusconi… Meditate, gente.

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