Dopo quasi un mese d’attesa dal primo pronunciamento, contenuto in due differenti informative provvisorie emanate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Penale il 29 febbraio, è arrivato il verdetto definitivo sull’uso processuale delle chat criptate dei boss della ‘ndrangheta contenute nei server ‘Sky Ecc’ e ‘Encrochat’. Già nelle informative gli ermellini si erano espressi a favore dell’uso a processo dei materiale raccolto grazie alla collaborazione con l’Interpool, ma ora è arrivata anche una seconda conferma dalla Prima sezione penale.
Prima di scendere nel merito dell’opinione della Cassazione sulle chat criptate, facciamo un passo indietro alla cronaca a cui si riferisce la sentenza. Il caso è quello di una fitta rete di boss malavitosi, dalla ‘ndrangheta fino alla mala albanese, che su diverse chat si scambiavano liberamente tra loro informazioni di vario genere sulle loro attività, sui sottoposti, sugli omicidi commessi e i progetti in corso. Un vero e proprio database di messaggi e chat criptate, che coinvolgono almeno 170mila partecipanti, conservate sui server in Belgio e in Olanda di Sky Ecc e di Encrochat. Gli inquirenti europei hanno mobilitato l’Interpool, che ha fatto da tramite con le autorità belghe e olandesi, acquisendo una mole indefinita di messaggi incriminanti.
L’opinione della Cassazione sull’acquisizione dall’estero delle chat criptate
Gli avvocati della difesa hanno fatto ricorso sull’uso delle chat criptate, chiedendo alla Cassazione di definire il criterio “di utilizzabilità in Italia della prova raccolta all’estero“, soprattutto alla luce della necessità di chiedere (o meno) “un preventivo provvedimento autorizzativo del giudice italiano”. Nelle informative gli ermellini si erano già detti “favorevoli” all’uso “processionale delle prove acquisite”, ritenendo “inspiegabile, per nulla giustificata e incomprensibile a livello unionale” l’eventuale esclusione delle prove.
Tesi confermata oggi dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione, che con la sentenza numero 13535 ha definito le corrette modalità di raccolta delle chat criptate dall’estero. Nella sentenza si sottolinea che “l’acquisizione ed utilizzazione dei messaggi in questione è sottoposta a regole, limiti e garanzie diverse che dipendono dalle modalità con cui l’autorità estera ha, a sua volta, acquisito i dati conservati nel server”. A livello generale, infatti, se le chat criptate sono state ottenute “mediante captazione, condotta in tempo reale”, si tratta di “attività di intercettazione in procedimento separato”, per la quale il giudice “dello Stato di emissione dell’ordine” di indagine deve valutare “il rispetto dei diritti fondamentali, del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo”. Differentemente, se l’acquisizione delle chat criptate avviene tramite “trascrizioni di comunicazioni già avvenute e conservate”, allora si può applicare, considerando “documenti” i dati acquisiti, secondo “l’art. 238 cod. proc. pen“. Si conferma, infine, quanto già ritenuto dalle Sezioni unite, secondo cui per l’acquisizione “non occorre la preventiva autorizzazione del giudice”.