Quella della Cassazione contro la “trappola” dei derivati delle banche «è una sentenza storica», ha spiegato la viceministra dell’Economia Laura Castelli dopo il provvedimento depositato il 12 maggio scorso dalle sezioni unite della Corte di Cassazione sul caso sollevato dal Comune di Cattolica. In sostanza i giudici hanno liberato il comune della Riviera dal vincolo di ben tre contrati derivati stipulati con la Bnl nel 2003 e nel 2004: era anni che tra sentenze e ordini di giudizio il comune di Cattolica lamentava contro il sistema delle banche quel vincolo «destinato a durare sino al 2025, se non recedendo anzitempo con un costo di uscita pari a diversi milioni di euro» (erano 7, ndr).



Ora però con la decisione a suo modo davvero clamorosa, per la prima volta si riconosce un imponente “stop” alla truffa-trappola dei derivati per enti locali che da decenni si porta avanti in Italia come pratica tutt’altro che minima: «Fa emergere che la finanza degli enti locali non può essere considerata neanche lontanamente alla stregua di una finanza con finalità speculative», spiega ancora la Castelli al Fatto Quotidiano. Secondo la collega senatrice e Presidente della Commissione di inchiesta sul sistema bancario Carla Ruocco, «E’ un’ottima notizia non solo per il Comune di Cattolica, ma per tutti gli Enti pubblici italiani che negli anni sono rimasti nella tagliola di questi strumenti finanziari». La difesa del Comune di Cattolica si è fondata sull’irregolarità delle modalità contrattuali all’interno della Pubblica amministrazione; in particolare, fa sapere l’amministrazione all’Ansa «si è sostenuta la tesi della carenza di poteri in capo al dirigente del settore finanziario (firmatario dei contratti derivati) in assenza di una previa deliberazione del Consiglio comunale».



SENTENZA CONTRO I DERIVATI DELLE BANCHE

«Un pronunciamento epocale che potrebbe avere un impatto diretto sugli equilibri di finanza pubblica», ribadisce ancora la Ruocco in merito all’annullamento imposto dalla Cassazione. Non solo, Bnl è stata condannata a restituire i differenziali negativi per un ammontare di diverse centinaia di migliaia di euro. «I principi di diritto stabiliti in questa sentenza sono certamente validi anche nella situazione attuale per i contratti ancora in corso» spiega oggi a La Verità il primo giudice che anni fa iniziò ad indagare sulla “trappola” dei derivati, l’ex pm di Milano Antonio Robledo. «Il ragionamento della Corte ruota intorno alla genesi della normativa sull’uso dei derivati da parte delle amministrazioni locali, per poi concentrarsi sulla natura giuridica dell’upfront, come strumento per riequilibrare i rapporti contrattuali tra ente e banca, sul mark -to- market e sull’alea dei contratti derivati, per concludere infine sull’organo comunale competente a decidere in materia di stipula di contratti derivati», spiega Domenico Gaudiello, Responsabile del dipartimento di Finanza Pubblica CMS.



«Ricordate quei derivati vergognosi venduti dalle banche (anche italiane ma sopratutto straniere!) ai nostri Comuni, agli altri enti locali ed alle Regioni (ed ancora più grossi allo Stato, per dirla tutta) nei primi anni 2000, con le scuse più diverse, complicatissimi e mai compresi da chi li firmava?(Perché li firmassero, viene da chiedersi). Quelli che son risultati in miliardi di perdite a livello nazionale, e corrispondente guadagno per grandi banche di tutto il mondo a spese nostre, insomma», attacca Alvise Maniero parlamentare M5s, «la Cassazione ha appena deciso, riguardo al ricorso di un Comune in quella situazione (Cattolica, guidato dal sindaco M5S Mariano Gennari) che quel contratto è NULLO, per varie ragioni tra le quali (semplifico) il fatto che il contratto manco rendeva possibile capire a che esborsi ci si stesse vincolando (la fregatura stava appunto in quello)».

Per quanto la sentenza si riferisca ad una specifica vicenda negoziale – per l’appunto la stipula di più contratti derivati da parte del Comune di Cattolica – i principi che vengono fissati in questa sentenza della Cassazione sono suscettibili di essere estesi anche al caso dei contratti derivati stipulati da soggetti diversi dagli enti locali e dunque avere una valenza ben più nazionale. Con questa sentenza la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della Banca riconoscendo dunque «il principio per cui i contratti che prevedono un ‘premio di liquidità‘ da incassare al momento della stipula (up-front) essendo ‘collegati ex lege’ ai rapporti debitori sottostanti, costituiscono una ‘forma di indebitament0’, e devono quindi essere trattati come tali, sia dal punto di vista delle procedure amministrative, sia dal punto di vista contrattuale», riporta il focus del Fatto Quotidiano.