La Cassazione si è espressa sul caso di un lavoratore che ha fatto ricorso per essere stato punito con un licenziamento dopo aver rubato beni di minima entità alla propria aziende: il lavoratore ladruncolo avrebbe rubato una caciotta da due chili e un prosciutto da 5 etti. Tanto è bastato a subire il licenziamento in azienda. La Cassazione nell’ordinanza 27353/23, pubblicata il 26 settembre ha deciso di garantirgli un risarcimento ma non il reintegro: ecco perché.



Cassazione e lavoro: ladruncolo licenziato non sarà reintegrato

Per i giudici di cassazione, anche se restano insussistenti le testimonianze che vedrebbero il lavoratore ladruncolo aver rubato altre due volte, non si sa cosa ne quanto, ha deciso che l’uomo, espulso dopo aver rubato nella sua stessa azienda, sarebbe stato risarcito con 15 mensilità ma non reintegrato.
Sono bocciati sia il ricorso principale del datore sia quello incidentale del lavoratore: diventa definitiva la decisione che condanna l’azienda a versare al prestatore un’indennità pari a quindici mensilità.



Per i giudici la proporzionalità della punizione non può essere definita sulla base della proporzionalità del bene sottratto.
A ciò però si aggiungono altre accuse a fondamento della decisione dei giudici di confermare il licenziamento: da addetto al controllo infatti l’uomo ha dimenticato merce scaduta sugli scaffali. Un quadro che delinea un disinteresse verso l’azienda a cui egli avrebbe comunque rubato, seppure beni alimentari di minima entità. Tanto sarebbe bastato ai giudici per decidere di confermare il licenziamento ma accordare comunque un risarcimento.

Inoltre, anche se le ragioni addotte sono queste, la reintegra sembra esclusa anche sulla base di tipologia di contratto collettivo che prevede, per fatti di questo tipo, l’esclusione dal mondo lavorativo aziendale e non una soluzione conservativa.