La Corte di Cassazione ha condannato il comandante di un rimorchiatore che aveva consegnato 101 migranti a una motovedetta libica, perché così facendo non sarebbero stati diretti verso un porto sicuro. Un pronunciamento, spiega Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di InsideOver, che a rigor di logica ha risvolti politici molto importanti: in pratica dice al Governo di attivarsi perché Tripoli diventi un approdo senza rischi per i migranti, riaprendo il tema degli aiuti alla Guardia costiera libica. Un verdetto che non dovrebbe intaccare l’operatività del piano Mattei, che si muove in campo economico, ma che suggerisce una riflessione sugli accordi che riguardano la sicurezza. Le autorità militari libiche, secondo questa sentenza, non andrebbero neanche aiutate a individuare i barconi. In questo modo sarà anche più difficile procedere contro le Ong, perché il salvataggio dei migranti non potrà essere considerato un aiuto all’immigrazione clandestina. Insomma, una decisione che pone molti problemi, soprattutto in vista del probabile aumento dei flussi nei mesi estivi.



Che indicazioni dà nello specifico la sentenza della Cassazione?

Il verdetto dice che non solo non bisogna consegnare i migranti alla Guardia costiera libica, ma non bisogna nemmeno riferire i posizionamenti dei barconi, né concedere aiuto perché li possano intercettare. Secondo la Cassazione se una nave privata nel Mediterraneo può pensare che sia giusto collaborare con la Guardia costiera per il recupero dei migranti, in realtà non deve farlo, proprio perché la Libia non è ritenuta un porto sicuro. L’armatore o l’equipaggio che si rivolge ai militari di Tripoli rischia di subirne le conseguenze: devono collaborare o con altre navi private o con le Guardie costiere di Paesi che sono considerati porto sicuro.



Ma che cosa è successo esattamente?

Quello di cui si parla nella sentenza è il caso di un mercantile che, vedendo le motovedette libiche più vicine, ha agito per inviare i migranti verso la Libia.

Quindi?

È una sentenza importante in chiave futura. Un peschereccio italiano o una nave mercantile che dovessero trovarsi nella medesima situazione sono tenuti a non collaborare con i libici.

Ma i giudici definiscono cos’è un porto sicuro? In questa situazione possono rientrare anche altri Paesi da cui partono le imbarcazioni che trasportano i migranti?

Nel 2018 Riccardo Gatti di Open Arms, la Ong spagnola, per via delle politiche di Salvini non voleva considerare nemmeno l’Italia porto sicuro. Quando se ne parla si intende un porto in cui le persone, tutti i naufraghi, possono ricevere accoglienza senza incappare in rischi per la propria incolumità. Però è una definizione che dà adito ancora a diverse interpretazioni, tant’è che neppure la Tunisia per molti si può considerare un porto sicuro: anche se esiste uno Stato con istituzioni unitarie e non è un Paese in guerra il trattamento che i migranti potrebbero ricevere non sarebbe consono ai diritti umani.



La Cassazione, quindi, non entra nel merito della definizione, dice solo che la Libia non è un porto sicuro?

Nel caso della Libia dubbi ce ne sono pochi: non è in pace, perché da 13 anni vive in un contesto di guerra latente, non ci sono istituzioni stabili e la stessa Guardia costiera libica spesso è stata accusata di abusi nei confronti dei migranti. E soprattutto c’è la presenza conclamata di molte strutture in mano ai trafficanti nelle quali vengono rinchiusi i migranti. Tripoli è una città in cui oggi c’è una vita quotidiana normale, ma domani potrebbero cominciare a spararsi: non c’è un controllo statale forte. Un migrante che va lì potrebbe ritrovarsi in guerra.

Quella della Cassazione si può considerare una sentenza politica? Come potrebbe cambiare l’approccio a questo dossier da parte del governo italiano?

Più che una sentenza politica direi che avrà risvolti politici di due tipi. Da un lato c’è chi dirà che le Ong andranno ulteriormente sostenute, che la loro presenza nel Mediterraneo nei momenti di particolare flusso migratorio sarà importante perché anche secondo la Cassazione i libici non devono intervenire. Devono farlo, invece, le navi private, che spesso sono quelle delle Ong. Dall’altro lato il Governo dovrà lavorare per far sì che la Libia diventi un porto sicuro. La sentenza sotto il profilo politico responsabilizza le autorità italiane affinché tramite il Memorandum e i contatti diplomatici Tripoli possa tornare a garantire sicurezza a chi attracca lì. In questo senso può avere risvolti molto importanti alla vigilia di un’estate che, senza arrivare ai picchi dell’anno scorso, potrebbe essere un periodo di forte pressione migratoria.

Molti degli accordi per controllare il flusso migranti però comprendono la fornitura di mezzi e risorse proprio alla Guardia costiera. Tutto questo non si potrà più fare?

Delle due l’una: o si è fatto poco per rendere Tripoli un porto sicuro, e allora bisogna fare di più, oppure questi accordi non funzionano completamente. In ogni caso bisogna chiedersi come procedere perché quello della capitale libica venga considerato un porto sicuro. Se diamo i soldi a Tripoli, motovedette e quant’altro, e non la consideriamo sicura allora stiamo perdendo soldi e tempo. Bisogna interrogarsi per vedere come far funzionare meglio le intese già siglate o firmarne altre più incisive.

Csa si dovrebbe fare?

Per non buttare i soldi occorre assicurarsi che i migranti non finiscano di nuovo nelle mani dei trafficanti, che vengano rimpatriati nei Paesi di origine tramite i programmi dell’Oim (organizzazione Onu, nda) o che possano rimanere in Libia in condizioni dignitose. Si tratta di attivarsi perché i migranti abbiano un corridoio che garantisca il rispetto dei loro diritti.

Il verdetto può avere delle conseguenze sullo sviluppo del piano Mattei?

Il piano Mattei si basa più su un discorso economico che di sicurezza: non credo che da questo punto di vista si possano avere particolari problemi. Prevede investimenti per 8 miliardi di euro per il gas libico, per potenziare le nostre strutture sul posto a livello di esplorazioni energetiche. Sono soldi che non sono in pericolo, perché frutto di un accordo con un governo ufficialmente riconosciuto. Ci può essere un risvolto politico per altre intese come quella del Memorandum. Il problema in Libia non è tanto a livello economico, quanto di funzionamento delle istituzioni e di democrazia.

Questo pronunciamento della Cassazione cosa comporta per le Ong?

Per loro questa sentenza è importante in chiave futura: mi aspetto da parte loro una maggiore presenza, una maggiore attenzione per monitorare che i barconi non tornino verso la Libia.

Avranno anche meno problemi dal punto di vista giudiziario?

Stiamo parlando a livello logico e non politico: se la Cassazione dice che non bisogna aiutare la Guardia costiera libica a trattenere i migranti, implicitamente dice anche che se una nave Ong prende in carico delle persone non sta aiutando l’immigrazione clandestina, ma persone che non possono più tornare in Libia. Le autorità italiane faranno molta più fatica a incriminare le Ong.

(Paolo Rossetti)

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