C’è un problema di panpenalismo in Italia. Ad evidenziarlo è Sabino Cassese, ex giudice della Corte Costituzionale. «C’è una valutazione diffusa tra tutti gli addetti ai lavori: abbiamo fatto troppo ricorso alle fattispecie penalistiche. Ogni volta che qualcosa va corretto cerchiamo di farlo con sanzioni di carattere penale, ma andrebbero ridotte prime le fattispecie di reato e poi le sanzioni, per ricorrere ad altri strumenti», ha dichiarato il costituzionalista a “Omnibus”, su La7. Per Cassese possono essere amministrativi, ma si può ricorrere anche con l’educazione della collettività. «Non sempre bisogna ricorrere alla frustra», ha aggiunto il professor Cassese. In merito alla riforma Cartabia e al referendum della giustizia: «Il referendum può servire come pungolo e credo che abbiano dichiarato proprio i proponenti che possa da esso discendere una riforma. Può servire come stimolo affinché il Parlamento decida».



Per Sabino Cassese ci sono due problemi, uno di numeri, l’altro di percezione. Per il primo ha spiegato: «Non possiamo andare avanti con procedure civili che nei tre gradi richiedono 7 anni e 3 anni nelle procedure penali. Non possiamo andare avanti con un arretrato di questioni che sfiora 6 milioni di procedure».



CASSESE E LA MAGISTRATURA POLITICIZZATA

C’è quindi un «chiaro squilibrio tra domanda e offerta di giustizia» per Sabino Cassese. «Questo è un dato strutturale», ha osservato ai microfoni di “Omnibus” oggi. C’è poi un problema di percezione pubblica. «Questo è purtroppo collegato prevalentemente ai magistrati accusatori, alle procure, perché nell’immagine pubblica, ma anche con testimonianze di fatto, si è percepito che molte iniziative hanno colore politico». Il costituzionalista parla di «politicizzazione endogena al corpo della magistratura». Cassese cita i costituenti che pensavano di creare uno scudo affinché la politica non aggredisse la magistratura, ma ora abbiamo il problema opposto. «Nell’ordine giudiziario nascono ambizioni e carriere politiche. Questo legame va interrotto perché la percezione collettiva è sempre più negativa». Quella fiducia cresciuta sin da Tangentopoli è andata dispersa. «Non dimentichiamo che lì nasce l’idea del giudice Robin Hood». Infine, sulla prescrizione: «È un rimedio ad un malfunzionamento. Bisogna partire dalla causa di cui la prescrizione è rimedio, come ha fatto la ministra Cartabia. Se i giustizi arrivassero in tempo, non si porrebbe la questione della prescrizione».

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