Caterina Bosetti, miglior schiacciatrice della Nations League 2022 e stella della nazionale azzurra di pallavolo, racconta del suo cambiamento dopo il brutto infortunio del 2018 e parla della sua vita in una famiglia da sempre legata alla pallavolo. “Studio psicologia, ma non son sicura che sia la mia strada” racconta la campionessa a Famiglia Cristiana.
Nel 2018, precisamente il 10 marzo, l’infortunio che rischia di cambiare per sempre la vita di Caterina Bosetti: la rottura del ginocchio sinistro e la lesione del crociato. “Mi hanno detto subito che non sarei tornata in Serie A, ci ho provato lo stesso” e i risultati parlano per lei. “Avevo 24 anni, se penso alla Cate di prima vedo una ragazzina un po’, come dire?, ‘trasparente’, cui non riesco a dare aggettivi. Ora mi riconosco caparbia, capace di resistere. Ne sono uscita formata come persona. Negli ultimi due anni mi sento cresciuta anche come giocatrice, non credo sia un caso: rendi al 100% quando sei matura e sai darti una disciplina”. E ringrazia la sua famiglia e il suo gruppo di amici “che nel momento del bisogno ci sono sempre”. Una famiglia in cui la pallavolo è di casa.
Caterina Bosetti, “a 18 anni sono andata a giocare a pallavolo in Brasile”
I genitori di Caterina Bosetti sono stati allenatori negli ultimi cinque anni delle giovanili del Vafibank Istanbul mentre Lucia, la sorella maggiore, è schiacciatrice. “È un fatto che in famiglia si respiri passione per la pallavolo. Siamo quattro fratelli, quando eravamo piccoli, non avendo baby-sitter, i genitori ci portavano in palestra con loro – rivela Caterina Bosetti a Famiglia Cristiana – Io amavo e amo anche nuotare, in piscina mi accompagnava il nonno, quando non ha più potuto guidare ho scelto la pallavolo, ma non c’è stata pressione, ha inciso il caso”.
A 18 anni, la decisione di Caterina Bosetti di andare a giocare in Brasile. “Sono andata perché in quel momento in Italia le giovani avevano poco spazio. Mamma e papà mi sono stati vicini e mi hanno incoraggiata” spiega a Famiglia Cristiana. E afferma che nella sua vita “gli affetti sono al primo posto” perché dopo “l’infortunio ho preso coscienza del fatto che la pallavolo finirà: se riesci puoi giocare fino a 35 anni, essere forte, vincere, ma dopo di te arriverà una giocatrice altrettanto forte e prenderà il centro dell’attenzione e allora ciò che conterà davvero sarà quello che hai lasciato come persona ai compagni di viaggio incontrati nella vita, durante lo sport e dopo”.