e la guerra in Ucraina, che si appresta a traghettare il mondo nel secondo anno di guerra, si porteranno presto appresso altre tragedie. Annunciate, come tutte quelle che ormai siamo avvezzi a guardare con maldisposta e sospirante indifferenza. Assisteremo ancora ad esodi epici, ad intere famiglie che lasceranno le macerie di palazzi frantumati dal sisma, dopo essere stati minati dalla colpevole incuria o dai bombardamenti, per cercare una possibilità di vita altrove.
Insomma dovremo aspettarci una nuova ondata migratoria che dalle coste della Siria o della Turchia si propagherà fino a lambire i nostri litorali, se i marosi e i capricci del Mediterraneo non decideranno di smorzarla in anticipo. Come reagiremo? Con la stessa vasta e sconfinata generosità registrata la scorsa primavera? Con lo stesso slancio per chi arriva da un’altra regione definita dalla violenza della terra o degli uomini? Saremo capaci di aprire ancora una volta le braccia per accogliere, proteggere, sfamare e vestire, ma soprattutto consolare, chi ha perso tutto, anche una dignitosa speranza?
Interrogativi scomodi, per le nostre coscienze assopite e vagamente fluttuanti. Interrogativi che richiedono risposte non di pancia, ma ragionate. Occorre essere educati. Capire perché si rimane umani se si aprono le braccia a chi è in fuga.
Ecco allora l’importanza di un’iniziativa che, partita dall’intuizione femminile delle sorelle della Fraterna Domus, luogo di accoglienza per eccellenza, ha finito per coinvolgere con metodo sinodale, tanto sbandierato quanto poco frequentato, una serie di realtà ecclesiali e laiche impegnate nella difficile arte dell’accogliere. La Cattedra dell’accoglienza è un’opportunità di formazione e di crescita, un modo per comprendere le ragioni di quella che non è solo un’attitudine umana, ma un obbligo civile e sociale, declinato in moltissime formule. Non si accoglie solo il migrante, il profugo, il rifugiato. Non solo diverse categorie umane. Si accoglie l’altro da sé, il diverso, l’estraneo al nostro comodissimo spazio, e insieme si entra in contatto con un universo di idee, tradizioni, storie ed esperienze su cui bisogna essere edotti.
Non è sufficiente spalancare il cuore e le porte di casa. Non se il bisogno rischia di divorare pazienza e slanci. L’episodicità non aiuta chi ha l’inferno alle spalle e il vuoto davanti. La continuità si costruisce con pazienza, convinzione e motivazioni che devono affondare in quanto ciascuno di noi ha di più caro. La consapevolezza che l’altro ha lo stesso desiderio di felicità che ci possiede.
Educare all’accoglienza allora di può e si deve. Dal 6 al 10 marzo a Sacrofano (Roma), un corso aperto a tutti permetterà di partire dai fondamentali per capire i modelli antropologici che sono alla base dell’accoglienza. Insegnanti, assistenti sociali, volontari, avvocati e studenti sono chiamati a spendere giorni ed energie per capire come sostenere le ragioni e le dinamiche che ci fanno sensibili all’esperienza altrui. Con docenti autorevoli e laboratori che immergono nella fatica quotidiana dell’accoglienza. Un evento che sarà segnato dalla riflessione del Pontefice che più di altri ha fatto sula la preoccupazione per il destino dei popoli in fuga, Francesco. Per chi volesse partecipare www.cattedra-accoglienza.it. Ne vale la pena.
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