L’interesse della Finint di Enrico Marchi per Cattolica Assicurazioni riaccende i riflettori del mercato sulla società cooperativa, da tempo al centro di speculazioni e attacchi e alla vigilia di una non cercata trasformazione in società per azioni. Cattolica è un boccone prelibato: quarta per dimensioni in Italia, un risultato operativo che a fine anno si collocherà in un range tra i 360 e i 380 milioni di euro (302 milioni nel 2019), non ha mai mancato di distribuire dividendi. Anche nel terribile 2020 avrebbe remunerato azionisti e soci se i regolatori europei prima e quelli italiani poi, a fronte della crisi pandemica, non avessero consigliato al settore prudenza. L’aumento di capitale, imposto nel maggio dello scorso anno da Ivass, ha riportato Cattolica Assicurazioni tra le best in class per solvency e con il suo esclusivo mercato degli agricoltori e del mondo cattolico e con la sua estesa rete di agenti, l’assicurazione veronese garantisce redditività e potenzialità di crescita.



Per questo da tempo è nel mirino dei fondi. Non è un mistero che già l’ex amministratore delegato Alberto Minali avesse un disegno di portare Cattolica tra le braccia di investitori internazionali, in primis in quelle del noto Warren Buffet che già detiene circa il 9% della società. Anche l’operazione Bpm, voluta con forza dall’ex Ad – un’operazione mal strutturata e pagata a caro prezzo – è la principale causa della volatilità che nel maggio scorso ha fatto vacillare la solvency dell’azienda, andava nella direzione di spingere verso la fine del modello cooperativo nato oltre 100 anni fa. L’aumento di capitale da 500 milioni di euro, imposto da Ivass in quelle settimane in cui la pandemia ha fatto vacillare i mercati, ha avviato il processo di trasformazione che si concluderà con la prossima assemblea di maggio: nuova spa e nuovo Consiglio di amministrazione.



In questi mesi, il presidente Paolo Bedoni e l’amministratore delegato Carlo Ferraresi hanno pilotato la società evitando i rischi di una deriva. I conti vanno bene e lo confermerà il 17 marzo il Cda per l’approvazione dei risultati definitivi 2020. La raccolta prosegue brillante nonostante la pandemia. La rete di agenti è coesa. E insieme a tutto questo Bedoni e Ferraresi hanno raggiunto e consolidato l’accordo con Generali, che consente a Cattolica Assicurazioni di entrare nel mondo innovativo del colosso triestino, ma anche di difendere la società (con il 24,5% delle quote in mano a Generali) da possibili scalate che la forma cooperativa impediva, mentre la Spa consente agevolmente. 



E qui si aprono nuove prospettive, anche per la finanza veneta, mentre a Verona ci si avvita in piccole polemiche di provincia frutto di veti contrapposti e di gelosie di parrocchia. L’avance di Marchi – che per altro già gestisce più fondi immobiliari di Cattolica Assicurazioni, tra cui la joint venture con Cdp per lo sviluppo della tenuta di Ca’ Tron in sinergia con l’innovativa scuola di formazione avanzata di H-Farm – va letta, dunque, come la conferma che Cattolica garantirà ancora creazione di valore, oltre a essere l’ultimo baluardo di finanza rimasto nel Nord Est d’Italia. “Sarebbe molto importante e opportuno – ha dichiarato Marchi – che accanto a un socio autorevole come Generali, ci fossero anche espressioni del territorio come Fondazioni, family office, investitori istituzionali”. 

Insomma, una Cattolica Assicurazioni con un ancoraggio di prestigio in Generali e un azionariato diffuso e forte che le garantisca indipendenza e radicamento sul territorio e che impedisca le scalate ostili che troppo spesso abbiamo visto nel passato (Creval insegna). In questo scenario il presidente Bedoni e i suoi consiglieri potranno mettere fine con soddisfazione alla loro missione in coerenza con i valori che dal 1896 guidano il gruppo.

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