Il cattolicesimo politico italiano è smarrito, sembra incapace di pensare la propria storia e ancor più di immaginare un futuro ed un destino. Indichiamo con l’espressione “cattolicesimo politico” l’impegno politico dei cattolici in Italia, la loro assunzione di responsabilità nella vita politica e nella vita civile del Paese.



Per molti il modo più naturale di pensarlo è la forma partito. È loro difficile pensare un impegno politico che non passi attraverso la forma partito. Il tempo della forma partito però è finito e quindi questi cattolici non sanno cosa fare.

Molti altri si rassegnano alla fine della forma partito o magari anche ne sono contenti. La Chiesa non si deve identificare con un partito, ma se c’è un partito cattolico (o anche semplicemente un partito di cattolici) questo rischio è incombente.



Rimane però in loro una intima insoddisfazione. Accetteremo la privatizzazione della fede? L’esclusione dalla vita pubblica? Ma allora che ne è della pretesa rivoluzionaria della fede di trasformare la faccia della terra? La fede trasforma tutte le dimensioni dell’esistenza tranne la politica? La politica non è tutto, ma ha a che fare con tutto e se la fede non entra anche nella politica rischia di diventare irrilevante per la vita.

Poi è arrivato Papa Francesco e ci ha detto che non viviamo in un’epoca di cambiamenti ma in un cambio di epoca. Come pensare la presenza politica dei cattolici dentro una epoca storica nuova, i cui tratti caratterizzanti sono ancora confusi ed incerti?



Il libro di Paola Binetti Elogio della moderazione nella moderna dialettica politica (Cantagalli, 2024) tenta di rispondere esattamente a questa domanda.

Cominciamo dalla seconda parte del titolo: la moderna dialettica politica. La politica contemporanea in Occidente è inquinata da una malattia mortale che rischia di portare alla morte della democrazia. Questa malattia mortale è la polarizzazione estrema. È morto il dialogo politico, la capacità di confrontarsi, pur se da posizioni diverse ed anche opposte, alla ricerca di un bene comune. Trionfano le posizioni intransigenti che vogliono non il bene comune ma il proprio bene particolare ed identificano questo bene con la distruzione dell’avversario.

La politica democratica, nata come alternativa alla guerra civile, minaccia adesso di precipitare di nuovo nella guerra civile. La causa di questo sviluppo è, un poco paradossalmente, la fine dell’idea di verità e la nascita della post-verità. Se la verità non esiste, ciò che rimane è l’affermazione della mia rivendicazione unilaterale e la divisione del mondo in amici e nemici a secondo che appoggino o avversino la mia rivendicazione. Ciascuno costruisce una sua narrazione il più possibile affascinante e coerente ignorando come irrilevanti i dati della realtà oggettiva e le ragioni dell’avversario.

I teorici di questo nuovo modo di fare politica pensano di essere originali, ma in realtà riscoprono la teoria del mito politico di Pareto che ha ispirato sia il nazismo che il comunismo. La generazione dei più anziani è stata indottrinata con l’idea che l’idea di verità sia nemica della democrazia, perché chi ha convinzioni assolute corre sempre il rischio di volerle imporre agli altri. La generazione più giovane ha dovuto invece scoprire che anche l’assenza di verità è pericolosa per la democrazia. Dove non c’è verità trionfano l’interesse, il potere ed il denaro.

Paola Binetti indica un altro cammino, dentro il cambio di epoca. È il cammino della moderazione. Cosa è la moderazione? Potremmo descriverla come un nuovo inizio della politica non a partire dall’ideologia, ma dall’esperienza umana elementare. Le ideologie pretendono di possedere la verità assoluta e ritengono pertanto di avere il diritto di imporla agli infedeli. I relativisti pensano che la verità non esista e che quindi l’unica regola della politica sia il potere. I moderati sanno che la verità esiste ma sanno anche che ha molti lati ( la verità è un poliedro, dice Papa Francesco). Il moderato difende la verità che ha visto e incontrato nella sua esperienza umana, ma è attento anche alla verità dell’altro, perché l’altro può avere visto un aspetto della verità che a me è sfuggito. L’ideologia assolutizza la mia verità e mi rende cieco e sordo alla verità dell’altro. Il relativismo mi dice che non c’è nessuna verità e ciò che rimane è alla fine solo il potere. Il moderato sa che la verità assoluta la possiede solo Dio e che noi ci avviciniamo alla verità partendo dalla situazione esistenziale in cui ci colloca la nostra nascita e la nostra cultura, ciascuno portando la sua piccola luce che rischiara il nostro cammino ma può illuminare anche il cammino di altri.

Se gli uomini riescono a parlarsi fuori dell’ideologia ed a mettere in gioco la loro effettiva esperienza di vita, allora punti di incontro sono possibili e si può ricostruire una coscienza di popolo.

Pensare così significa pensare l’impegno in politica dei cattolici fuori dell’ossessione della forma partito. Il problema primo non è il partito cattolico, ma una pratica cristiana della politica: un modo di fare politica che inizi da un’affezione profonda alla persona umana, in me stesso e negli altri, anche negli avversari. Una pratica cristiana della politica che faccia uscire la politica dalla dialettica amico/nemico (teorizzata a suo tempo a destra da Carl Schmitt e recentemente riscoperta a sinistra da Michel Foucault) e riscopra il principio, recentemente riproposto da Papa Francesco, che dice che il tutto è più importante delle parti. Ho il dovere di difendere fino in fondo le ragioni della mia parte (sociale o culturale che sia) ma ho anche il dovere di condurle al dialogo con le ragioni del mio avversario per costruire il bene comune possibile del nostro popolo nel tempo e nelle circostanze che ci sono state assegnate da vivere.

Paola Binetti raccoglie il meglio della tradizione del cattolicesimo politico italiano (penso alla cultura della mediazione come la concepiva Aldo Moro) e la proietta dentro la epoca nuova i cui contorni cominciano appena a delinearsi davanti ai nostri occhi. Oggi il problema non è costruire un partito, ma ricostruire un popolo.

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