Egregio direttore,
il clima elettorale incandescente ha messo a fuoco anche la cosiddetta questione cattolica. Vedo che in molti sottolineano che la presenza di cattolici è ormai quasi insignificante, per tante ragioni che non sto ad elencare, ma che sono emerse nel dibattito in corso.

Ciò che stupisce sono fondamentalmente due questioni: anzitutto l’irrilevanza delle proposte cristiane, poco presenti e poco coerenti con le richieste dell’ortodossia cattolica su aborto, unioni omosessuali, utero in affitto, fine vita, libertà di educazione, ecc. e, in secondo luogo, la dispersione di candidati ed elettori cattolici in liste contrapposte e portatrici talvolta di istanze laiciste e anticlericali.



È stato Paolo VI, con la lettera apostolica Octogesima adveniens del 1971, a riconoscere esplicitamente la legittimità del pluralismo delle opzioni politiche. In quello stesso documento Papa Montini indica anche ben precisi criteri per elaborare una scelta corretta e non di rottura o di scandalo per la comunità.  Sono un vecchio ciellino e ricordo che don Giussani ha sempre detto che la politica è una responsabilità personale, che ognuno deve affrontare seguendo la sua coscienza (anche per questo, credo, san Tommaso Moro è stato scelto come patrono dei politici). Come dice spesso il mio amico Rocco Buttiglione, ciò non implica che si apre la porta alla diaspora: significa semplicemente che è legittimo avere posizioni diverse su moltissime questioni politiche, che sono tutte ampiamente opinabili e discutibili.



Certamente c’è il problema delle cosiddette “questioni non negoziabili”, molto ben definite in un documento del 2002, firmato dall’allora cardinale Ratzinger e da Giovanni Paolo II. Su quelle questioni, però, per affermare la posizione dei cattolici non è sufficiente che essi siano nello stesso partito. Potrebbe essere utile e preferibile? Forse sì, ma non sarebbe comunque sufficiente!

Occorre piuttosto che chi è cristiano – in qualsiasi partito si riconosca – abbia il coraggio di dire la sua posizione di cristiano, affermando la sua libertà di coscienza: la coscienza, come diceva Newman, erede spirituale di san Tommaso Moro, è “il primo vicario di Cristo”. Il problema è che spesso neppure i cristiani sono interessati alla Verità di Cristo! Non voglio entrare nel merito e non mi permetto di giudicare nessuno, ma di questa scelta o di questa non-scelta ciascuno renderà conto: non certo a me e neppure al Papa, ma a Chi ci ha creati dandoci un compito.



Su questo noi cristiani dobbiamo essere uniti, non necessariamente sul voto: se vogliamo essere uniti su questo nessuno può impedirci di riconoscerci in unità. La nostra Unità esplicita nella Chiesa è la grande sfida che oggi ogni cristiano sta vivendo con serietà e che dobbiamo avere il coraggio di affrontare, seguendo ciascuno la propria coscienza e la vocazione che ciascuno ha ricevuto da Dio. Senza dimenticare mai la massima agostiniana: “In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas”.

Sarebbe molto bello che, a prescindere dal partito in cui militano, quando si discute di queste tematiche di grande spessore etico, chi frequenta la Chiesa, chi assume il Corpo di Cristo nella celebrazione liturgica, chi pratica i sacramenti, avesse il coraggio di proclamare con nettezza la sua posizione di cristiano, che è la posizione della Chiesa, una posizione sempre insegnata e da un secolo e mezzo proposta con grande realismo nei documenti del magistero sociale della Chiesa.

La dottrina sociale della Chiesa è da tempo la punta di diamante del dialogo culturale che la Chiesa intesse con gli uomini del nostro tempo: è solo l’insipienza dei cristiani che trascura l’importanza di questo magistero, che meglio di tante altre cose esprime la passione della Chiesa per l’uomo. I misteri del cristianesimo costituiscono il fondamento vivificante di tutto il reale: se chi si dichiara cristiano saprà operare in coerenza con la dottrina sociale della Chiesa, la sua azione avrà una positiva incidenza sulla società italiana, offrendo una risorsa formidabile per tutta la società nella misura in cui saprà essere una forma di testimonianza di come l’incontro con Cristo investa tutti gli ambiti dell’umana esistenza, mostrandone tutte le implicazioni a livello antropologico, cosmologico e sociale.

Chi teme che il diffondersi di una “abitudine” a diversificare il voto elettorale potrebbe portare i cattolici ad essere sempre più “lontani” tra loro, non dimentichi che l’essere cristiani non è mai un dato acquisito: io sono cristiano perché da piccolo sono stato battezzato; ora sono cristiano perché ogni domenica dico il Credo, e lo dico perché io scelgo di dirlo. Si è cristiani solo se si decide di volerlo essere ogni giorno, ogni istante della giornata.

Per questo, pochi o tanti, ma chi decide e ri-decide ogni giorno di essere cristiano, anche se in partiti diversi, sarà sempre unito a chi fa questa sua stessa scelta ogni giorno.

Se diversifichiamo il voto è importante che tutti, quale che sia la nostra scelta, lo facciamo con la stessa intenzione e con la stessa convinzione che solo la Verità rende veramente liberi e che nessuna Parola è vera come la Parola che ha creato la realtà.

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