Ogni tot, compare all’orizzonte qualcuno che ritiene doveroso fondare un partito dei cattolici. Per carità, i precedenti sono tanti e assai significativi. Qualche esperienza, come quella del Partito popolare di don Sturzo, addirittura – detto nientemeno che da Federico Chabod – ha significato davvero un che di storicamente decisivo. Altri tentativi sono andati a vuoto, sono naufragati per motivi vari. Così per tutto il Novecento e per le sue propaggini nel terzo millennio.



L’idea del partito cattolico radica addirittura nell’esperienza del cattolicesimo organizzato della seconda metà dell’Ottocento. Dalle Amicizie cristiane all’Opera dei Congressi, sotterranea circolava l’idea – pur nell’impossibilità, o meglio, nel divieto papale di prendere parte alla vita politica nazionale del neo-Stato italiano nato dal buco di Porta Pia – a diversi livelli, come attesa, come speranza, come prospettiva. E se il quadro di riferimento era quello sintetizzato da don Margotti nel suo “né eletti né elettori”, altrove si elaboravano prospettive diverse, più aperte al futuro come a Brescia, dove il giovane direttore del Cittadino coniava un nuovo slogan: “Preparazione nell’astensione”. Quel giovane direttore portava il nome di Giorgio Montini, futuro padre di Giovanni Battista, che diventerà poi Papa Paolo VI.



Quando si comincia a pensare ad un partito, chissà com’è, iniziano i distinguo. Io sono così, ma…; farei cosà, se… E allora, anche nel secolo dei velocipedi e della mongolfiera, ecco i cattolici intransigenti e quelli transigenti, i papalini e i conciliatoristi, gli integralisti e i moderati, e i liberali. Insomma, siamo nel campo del primato degli aggettivi.

Il partito nell’Ottocento non si fa. Ma cova. Il non expedit impera, ma piano piano si incrina, come una diga senza manutenzione.

È così che finisce il secolo. Con le cannonate di Bava Beccaris e i ceppi a don Davide Albertario, che si trova a condividere la cella con Filippo Turati.



Ma vivaddio, il nuovo secolo avanza. Secolo delle masse e dei re che vengono assassinati proprio davanti al cancello di casa. Il grande papa Leone sopravvive soltanto tre anni e lancia lì alcune paroline che avranno un grande successo: “O la democrazia sarà cristiana, o non sarà”. Romolo Murri prende la palla al balzo e s’inventa il suo bel partito: Democrazia cristiana. Ma Murri è modernista e insieme troppo clericale. Affibbia alla Chiesa troppe responsabilità politiche. E allora ecco un altro florilegio di aggettivi, per dire che si è cattolici, ma… Meda va da un’altra parte ed entra in Parlamento nel 1904 con una sua bella idea di partito, Murri viene scomunicato, altri si gettano a capofitto nel cattolicesimo sociale e nelle leghe bianche, a contatto diretto e in direzione ostinata e contraria rispetto al socialismo irruente.

La Grande guerra cambia molte carte in tavola. Dopo il 4 novembre l’Italia non è più la stessa e le masse invadono strade, piazze, coscienze e incubi. Il non expedit, benché progressivamente attenuato, è ancora in vigore e i cattolici con le loro molteplici anime e con le conseguenti coscienze, sono in attesa.

1919, giusto cent’anni fa: Sturzo ha un’idea nuovissima di partito. Popolare e laico, proporzionalista e consapevole dei limiti della politica. Ciò fa tuonare Gemelli che dal suo profondo medievalismo fa le pulci a Sturzo per sottolineare ciò che il Ppi non è e ciò che invece dovrebbe essere. L’avventura dura poco: il fascismo spezza l’incantesimo sturziano e anche nel partito dei “liberi e forti” ecco riscoppiare il dominio degli aggettivi: clerico-fascisti, popolari puri, aventiniani, etc.

La storia della Dc, dopo la terribile pausa bellica, è la storia di una grande digestione, una sorta di colossale attività gastrica capace di ridurre ogni aggettivo in un bolo equilibrato e finalizzato alla gestione non solo di un potere consolidato, ma anche di una visione di mondo che è durata fino alla rottura definitiva. Chi naviga fuori dallo stomaco, pensiamo ai Cristiani per il socialismo, non è nemmeno considerato. Ridotto al ruolo della testimonianza. Ma prima o poi il duodeno scoppia.

C’è chi dice che la congestione gastrointestinale sia avvenuta con l’89, chi con Tangentopoli. Congestione fatale, definitiva, per quanto di definitivo consenta la Storia.

Dalla fine della Dc, ogni tentativo di resuscitare l’esperienza politica dei cattolici ha avuto esiti floreali: l’Ulivo, la Margherita. Dall’altra parte, prendevano corpo le aggettivazioni contrarie: Udc, Udeur… Insomma dalla deflagrazione della Dc in poi, quella dei cattolici in politica è storia di progressiva irrilevanza.

Un solo tentativo di ricondurre questa storia centenaria ad un solo, unico, denominatore comune, insomma al sostantivo, merita considerazione, nonostante il suo esito fallimentare. Si tratta del Progetto culturale di ruiniana memoria. Contro tale tentativo tutti gli aggettivi cattolici si sono scagliati più o meno virilmente. Eppure, quel tentativo, forse anacronistico, incapace di leggere a fondo i grandi mutamenti della Storia e soprattutto l’insignificanza dottrinale della Chiesa nella società dei consumi e dell’eternamente connessi, aveva colto la natura vera della diaspora cattolica, la sua radice culturale, prima ancora che teologica ed ecclesiologica, la perdita di ogni riferimento magisteriale, l’individualismo spinto al di sopra del limite intrinseco dell’esperienza personale.

Da lì in poi, ogni storia è storia di aggettivi. Uno su tutti si è imposto per autodefinizione e per autoriconosciuta superiorità morale. Questo aggettivo è “democratico”. Tutto il resto sta fuori, bollato come non democratico e via dicendo, in un climax che ci riporta agli anni Venti e poi ai tempi di Margotti e di Albertario, di Paganuzzi e degli Scotton.

Aggettivo salottiero, caro a chi ritiene di esser superiore al resto del mondo. Perché per quell’aggettivo, la questione non è numerica, ma morale. E se non ci sono i numeri, basta la consapevolezza etica.

Ora stiamo assistendo ad un nuovo tentativo degli aggettivi di darsi una struttura di partito. L’esito è prevedibile. Zerovirgola. Perché la questione vera è che il tarlo, dopo aver rosicchiato gli aggettivi, ha intaccato il sostantivo. E quel sostantivo meriterebbe una profonda riflessione per misurare non solo la sua tenuta storica, ma la sua stessa cittadinanza nella Chiesa contemporanea. Così ogni inventore di partito, forse otterrà un seggio in parlamento, ma sarà condannato ad esser infilato nel grande sacco degli aggettivi che hanno accompagnato il sostantivo cattolico (il cattolico in carne e ossa. Perché, guarda un po’, cattolico è sia sostantivo sia aggettivo).

E nella storia degli uni e degli altri, dei sopra e dei sotto, dei pro e dei contro, il mondo va avanti, anche senza cattolici, qualunque aggettivo li qualifichi. Ma c’è sempre la possibilità di dire che la colpa di tutto ciò è di qualcun altro. Perché i peggiori tra i cattolici sono quelli sempre perfetti, senza macchia, che il mondo, un giorno o l’altro, con le buone o con le cattive, dovrà pur apprezzare.