La recente constatazione di Pierluigi Castagnetti che nessuno dei Popolari è presente nella direzione del Pd ha riacceso la discussione sulla irrilevanza dei cattolici in politica, come se non fossero sufficientemente eloquenti le dichiarazioni con cui la Schlein accompagna le sue decisioni politiche e lo spostamento che sta imprimendo al suo partito: sempre più a sinistra. La domanda però risulta mal posta, perché la vera questione non è quanti sono i cattolici presenti nella direzione del partito, ma se e in che modo principi e valori cristiani ispirano realmente le scelte del Pd. Ovviamente non solo del Pd, ma di ogni partito, perché la maggiore o minore rilevanza dei cattolici in politica riguarda tutto il mondo politico. Se ci si chiede quanti sono i cattolici in questa o quella direzione di questo o quel partito entra in gioco il rapporto di potere tra cattolici, non cattolici e diversamente cattolici. In questo approccio si riflette la legittima aspirazione di chi fa politica, in ogni schieramento, a governare seguendo le direttive del proprio partito.



Diverso è il caso in cui ci si chiede non quanti sono i cattolici impegnati in ruoli di governo o di direzione nei partiti, ma in che modo questi stessi cattolici sono impegnati ad attualizzare la dottrina sociale della Chiesa, nella sua integrità, contestualizzandola senza stravolgimenti di sorta.

Per capire la differenza tra questi due approcci, vorrei fare un passo indietro e raccontare un po’ della mia storia politica. Sono medico, neuropsichiatra infantile, professore universitario, tra i fondatori della Facoltà di Medicina dell’Università Campus Biomedico di Roma. Nel 2006 sono stata eletta in Senato tra le file della Margherita con il desiderio di dedicarmi, per quanto possibile, al miglioramento di alcuni aspetti del SSN. Ho sempre lavorato, per 17 anni, tra Camera e Senato, in Commissione Sanità e Affari sociali. La Margherita era allora quanto di più vicino a un partito di centro-sinistra, per la sua sensibilità sociale, per la presenza dei Popolari, con una impronta valoriale di tipo Dc, per la libertà con cui era possibile fare proposte sul piano normativo, incalzare il governo con interrogazioni e interpellanze, per l’intenso contatto con il mondo delle associazioni e del volontariato. Un contesto politico creativo, in cui le diverse anime che avevano dato vita alla Margherita, trovavano il loro punto di equilibrio nel rispetto reciproco garantito dalla leadership di Francesco Rutelli. Un equilibrio dinamico, ma evidentemente più fragile di quanto non apparisse, messo in crisi dalla nascita del Pd, in cui gli allora democratici di sinistra, più numerosi e più esperti nella dialettica parlamentare, ebbero buon gioco della Margherita soprattutto sul piano di determinate scelte valoriali e delle relative proposte politiche.



Per resistere all’impatto con una ideologia che si andava configurando in modo decisamente conflittuale rispetto ad alcuni valori, alcuni di noi dettero vita al gruppo dei Teodem. Volevamo provare ad essere nel Pd testimoni fedeli di valori e convinzioni su cui potersi confrontare, senza rinunziare alle nostre convinzioni più profonde. Per me e per altri amici non fu possibile e l’unica soluzione fu quella di uscire, migrando verso il centro. Nel mio caso nell’Udc, dove ancora sono e svolgo la mia attività politica, coerentemente con i valori in cui continuo a credere e per cui continuo a lottare.



I fatti ci hanno mostrato impietosamente come già allora stesse venendo meno non la presenza dei cattolici ma la coerenza del pensiero, della cultura e della tradizione del mondo cattolico, con i suoi riferimenti ai famosi valori non negoziabili. Anzi per dirla tutta, si stavano sostituendo i valori non negoziabili, presenti nella dottrina sociale della Chiesa, con altri criteri ancor meno negoziabili nella rigidezza della proposta e nell’aggressività dello stile del dibattito: rappresentavano un autentico stravolgimento dei primi. Penso ad esempio alla legge 219/2017 sul cosiddetto testamento biologico. Dopo una battaglia durata più legislature, l’asse Pd-M5s ha dato vita ad un testo come l’attuale, di cui la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto l’ambiguità con la famosa sentenza assolutoria di Cappato, che continua imperterrito la sua battaglia per la legalizzazione dell’eutanasia, tanto da averne fatto il fulcro della recente campagna elettorale per il seggio al Senato, sempre con il sostegno della Schlein.

Pochi anni prima avevo presentato un disegno di legge sulle cure palliative e sono stata orgogliosa di essere stata relatrice della legge 38/2010; non a caso la mia scelta è stata fin dal primo momento quella delle cure palliative, degli hospices e dell’assistenza domiciliare, quella di chi assiste e di chi cura pur sapendo che non c’è spazio per la guarigione, ma c’è sempre spazio per l’accoglienza e la condivisione. Eutanasia No, cure palliative Sì. È solo un esempio tra tanti altri, che hanno visto il dibattito parlamentare sempre meno capace di assumere la piena responsabilità di tutelare valori così cari al mondo cattolico, così profondamente radicati nella sua sensibilità e nella sua tradizione. Essere in parlamento da cattolici non è facile ed è giusto voler rendere sempre più incisiva la loro azione di tutela della fragilità e della disabilità, fisica, psicologica e sociale. Mi sono chiesta tante volte come avrebbe potuto essere diverso lo stesso clima parlamentare se fossimo più capaci di avere uno stile di collaborazione e di rispetto reciproco inclusivo, senza rinunciare alla nostra identità. La nostra rilevanza politica come cattolici nel prossimo futuro deve ricominciare dalla fedeltà.

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