CATTOLICI IN POLITICA, IL CHIARIMENTO DEL CARD. ZUPPI DOPO LE POLEMICHE SULL’APPELLO DEL VESCOVO MORANDI

Una premessa è necessaria subito (specie se avete visto bene il titolo prima di sceglierci): l’intervento del cardinale Matteo Maria Zuppi, che riprende un documento del vescovo di Reggio Emilia, non chiude la porta all’ingresso di cattolici in politica, come qualcuno ha pensato affrontando superficialmente il dibattito generato da mons. Giacomo Morandi. Il tema è semmai l’opportunità di candidarsi alle elezioni politiche (che siano essere locali o nazionali, è uguale) mentre si è contemporaneamente catechista, diacono, lettore, accolito o ministro straordinario dell’eucaristia: secondo la disposizione della Diocesi di Reggio Emilia e Guastalla, non si può essere contemporaneamente ministro incaricato della Chiesa e candidato politico, e così il Presidente della CEI ha semplicemente confermato l’intento.



A margine della prima tappa del “Tour della natalità”, organizzato a Bologna dalla Fondazione per la Natalità, l’arcivescovo Zuppi riprende la polemica alzata contro la lettera del vescovo Morandi di inizio febbraio, spiegando la posizione ufficiale della Chiesa italiana: «La Chiesa non fa mai politica per una parte. La Chiesa promuove i suoi valori per il bene dell’uomo e lo fa senza fiancheggiare questa o quella forza politica». Secondo il Card. Zuppi, i tempi di un presunto collateralismo sono finiti e per questo arriva a condividere le parole di mons. Morandi, il quale – ribadisce il n.1 CEI – «riguardano i ministri che svolgono il loro servizio all’interno di una comunità e non i cattolici che si impegnano in politica».



“CHI SI CANDIDA NON PUÌ RICOPRIRE ALTRI RUOLI IN PARROCCHIA”: COSA DICE LA CEI

Come conclude ancora il cardinale Zuppi sul tema dei cattolici impegnati in politica, la posizione della CEI è netta: «Abbiamo bisogno di persone che portino avanti e difendano i nostri valori nel dibattito politico, ma questo impegno non può riguardare chi è stato chiamato a svolgere un ministero nella chiesa e, quindi, a favore di tutta la comunità». Nella sua lettera a tutti i parroci e alla comunità di Reggio Emilia, mons. Morandi ha ricordato quanto stabilito da San Paolo VI nella lettera apostolica Ministeria Quaedam del 1972: «i ministri sono messi a disposizione della comunità e della sua missione in forma stabile», e per questo non possono vere responsabilità diversi e divisive, come appunto far parte di un partito politico.



Con la Diocesi di Reggio Emilia si era subito schierata anche quella di Ascoli, con il vescovo Palmieri che ribadiva «chi svolge un ministero in parrocchia non può intraprendere la carriera politica». Ora la Chiesa italiana difende le posizioni dei due vescovi e garantisce che non si tratta affatto di un divieto in stile “Non Expedit” (poi revocato da Papa Benedetto XV nel 1919) sulla partecipazione dei cattolici alla politica, ma bensì dei “soli” Ministri incaricati all’interno della comunità parrocchiale o diocesana. «Quello che non comprendo è che si sia arrivati a evocare il non expedit di Pio IX: utilizzare questa citazione significa dare un’interpretazione non corretta, fuorviante e capziosa, che denota peraltro l’ignoranza della storia e di quello specifico provvedimento, che nasceva nel contesto di rapporti conflittuali fra stato e Santa Sede», ha commentato sul sito della Diocesi lo stesso vescovo Morandi, sottolineando come il provvedimento pastorale adottato «esprime esattamente l’intenzione opposta, cioè che i cristiani che sentono la vocazione al servizio politico possano seguirla con pieno diritto, liberamente e responsabilmente». L’intento affermato da Morandi e confermato oggi da Zuppi è quello di evitare che da entrambe le parti «possano esserci strumentalizzazioni dei ruoli ricoperti e si trasferisca nelle parrocchie la conflittualità tipica dell’agone politico, alimentando quelle polemiche e contrapposizioni che in campagna elettorale sono all’ordine del giorno».