Più che un “cammino”, quello sinodale in atto in Germania è una vera e propria “marcia”, condotta con la tecnica leninista dei due passi avanti e uno indietro. L’ultimo passo indietro era stata la sospensione del voto sul “comitato sinodale” dopo lo stop di Roma. I due passi avanti sono di questi giorni: il comitato sinodale è stato approvato il 24 aprile scorso e con ciò si è aperto un vulnus pressoché insanabile, almeno umanamente, nel tessuto della Chiesa tedesca e della sua appartenenza alla Chiesa universale. Ma vediamo, sia pur semplificando, di che cosa si tratta.
Tra le sue decisioni assembleari il “cammino sinodale” tedesco prevede uno statuto che istituisce di un “consiglio sinodale” entro il 2026, elettivo e composto da laici e rappresentati dell’episcopato, dotato di potere deliberante. I temi su cui deliberare, poi, sono quelli intorno a cui è nata la stessa idea del cammino sinodale tedesco: lotta contro gli abusi, con conseguente revisione della prassi del celibato sacerdotale, dell’ordinazione delle donne, della struttura gerarchica (“patriarcale”) della Chiesa e, inevitabilmente, insieme a molto altro, completa riforma della morale sessuale cattolica.
Il nuovo istituto del “consiglio sinodale” potrebbe agire in queste direzioni proprio per il suo carattere deliberante, che è, poi, il vero e proprio nucleo di rottura del cammino stesso. La decisione non è stata presa dalla sola assemblea sinodale, ma è stata approvata anche dalla Conferenza episcopale tedesca, sia pure non all’unanimità (e su questo punto dovremo subito tornare). Significa che, di fatto, in Germania la struttura gerarchica della Chiesa – vescovi nelle singole diocesi e Conferenza episcopale (la cui essenza dogmatica è ancora tutt’altro che chiara) – viene a trovarsi affiancata da un organismo elettivo e “democratico”, con potere deliberante su materie che, come ha ricordato il Papa, sono competenza della Chiesa universale o addirittura sono parte integrante del patrimonio rivelato.
I passi avanti, appunto, sono due: le decisioni dell’assemblea del cammino sinodale e la loro approvazione da parte della Conferenza episcopale tedesca. Dopo i “no” di Roma, seguiti alla quinta assemblea sinodale, tenuta nel 2023, i mal di pancia dello schieramento progressista, ivi dominante, si sono tradotti in pressioni fortissime sull’episcopato favorevole o, almeno, non contrario, con la richiesta di trattative con Roma o di una decisione autonoma e unilaterale da parte della Chiesa tedesca.
Il 22 marzo scorso una delegazione della Conferenza episcopale tedesca è stata ricevuta a Roma e ha ottenuto la conferma del “cammino sinodale”, subordinata però alla piena comunione e adesione alla Chiesa universale. Oltre alle deviazioni dottrinali, il timore, non nuovo, di Roma è che il cammino sinodale segni la nascita di una chiesa nazionale tedesca separata da quella universale. Tuttavia, poiché allo stato delle cose una conferenza episcopale è un’assemblea, di carattere organizzativo e funzionale, di vescovi, ciascuno responsabile della chiesa locale a lui affidata, la mancata unanimità da un lato ribadisce la piena sovranità di ciascun vescovo nel territorio della sua diocesi, dall’altra evidenzia la spaccatura in atto nella stessa Chiesa tedesca.
È vero che a dire di no sono stati “soltanto” quattro vescovi, ma il dato, sia pur triste, non è nuovo nella storia della Chiesa. Durante la crisi ariana del IV secolo anche Atanasio si trovò da solo, e per di più costretto all’esilio da parte dei suoi colleghi ariani, filoariani o semplicemente inclini a compromessi eccessivi. Il merito di Atanasio fu proprio quello di mettere in piena luce la deviazione in atto.
I vescovi dissidenti e fedeli a Roma sono il benedettino Gregor Maria Hanke (Eichstätt), il salesiano Stefan Oster (Passau), il cardinale Rainer Maria Woelki (Colonia) e Rudolf Voderholzer (Ratisbona). I quattro vescovi non hanno partecipato al voto, il che vale più di un voto negativo, dal momento che, implicitamente, significa l’affermazione della non legittimità della stessa messa a tema di questi argomenti. Se si vota contro, in qualche modo si ammette che su quella materia si possa discutere e votare. I quattro vescovi hanno fatto seguire una loro dichiarazione comune in cui affermano che il cammino sinodale di una chiesa particolare può avvenire solo in piena comunione con la Chiesa universale e, dunque, con Roma.
Il “consiglio sinodale”, che dovrebbe (o dovrà) essere finanziato dalle diocesi tedesche, e dunque con i denari delle “tasse ecclesiastiche”, è stato esplicitamente bocciato da Roma. Quest’ultima ha più volte riaffermato che un “consiglio sinodale” nella forma prevista e decisa dal “cammino sinodale” tedesco non è compatibile con la struttura sacramentale della Chiesa. Il minimo richiesto dai quattro vescovi è che il sinodo tedesco aspetti le conclusioni del sinodo universale, indetto dal Papa.
È vero che la grande maggioranza dei fedeli cattolici nelle diocesi tedesche vive la propria fede al di là di queste polemiche di politica ecclesiastica, ma è altrettanto vero che il potere manipolatorio dell’ala “progressista” (e il termine è puramente giornalistico-comunicativo) è enorme, data la struttura fortemente burocratica della Chiesa tedesca. Di essa si dice che sia il secondo datore di lavoro, dopo lo Stato, nella Repubblica Federale Tedesca, con bilanci economici da grande multinazionale, appunto inferiori solo allo Stato stesso. In essa, però, dilaga la piaga del clericalismo, ovvero di alcuni laici che ritengono che vivere la fede significhi svolgere le funzioni del clero e avere incarichi istituzionali. A chiare lettere lo affermava già Joseph Ratzinger ne Il sale della terra (1996): “Esiste un’ideologia che riconduce tutto ciò che esiste a rapporti di potere (…). Cito un esempio concreto: se vedessi la Chiesa solo secondo la prospettiva del potere, chiunque non ricopre una carica, sarebbe un oppresso. Allora, per esempio, il problema dell’ordinazione delle donne come questione di potere diventa un problema scottante …”. E ancora, ma ormai come papa Benedetto XVI: “Nello sviluppo storico della Chiesa si manifesta anche una tendenza contraria: quella cioè di una Chiesa soddisfatta di se stessa, che si accomoda in questo mondo, è autosufficiente e si adatta ai criteri del mondo. Non di rado dà così all’organizzazione e all’istituzionalizzazione un’importanza maggiore che non alla sua chiamata all’essere aperta verso Dio” (Friburgo in Br., 25 settembre 2011).
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI