Due interventi ai massimi livelli ecclesiali hanno acceso i fari sul rischio concreto di uno scisma all’interno della Chiesa cattolica tedesca o, come qualcuno afferma, sulla formalizzazione di uno scisma già in atto da molto tempo in molte diocesi di lingua tedesca. Nel gennaio di quest’anno il card. Walter Kasper, da sempre considerato un “progressista”, in un’intervista rilasciata all’edizione tedesca della rivista Communio (che ha tra i suoi fondatori Josef Ratzinger e Hans Urs von Balthasar) prende una posizione durissima sul “sinodo tedesco” affermando che con le sue modalità di lavoro “viola la struttura sacramentale della Chiesa” e che quindi “non finirà bene”.
Sempre Communio il 19 febbraio 2024 pubblica un colloquio tra Jan-Heiner Tück, direttore della rivista, e l’arcivescovo di Vienna, card. Schönborn, preoccupatissimo per quello che sta succedendo nel Paese vicino e per il fatto che si sta cercando di mettere il Papa davanti al fatto compiuto, producendo una frattura nella Chiesa. Schönborn dice esplicitamente: “Mi colpisce la pazienza che il Papa sta dimostrando”.
Nel frattempo, alla vigilia dell’assemblea plenaria di primavera della Conferenza episcopale tedesca, in corso ad Augusta (sino al 22 febbraio 2024) i vescovi tedeschi hanno ricevuto un forte richiamo da Roma e temporaneamente sospeso l’attuazione delle decisioni sinodali.
Ma di che cosa si tratta, in realtà? Nella Chiesa cattolica i sinodi sono sempre esistiti. Il termine viene dal greco e sino a poco tempo fa era considerato sinonimo di “concilio”, che è, poi, il suo equivalente latino. Così, esemplarmente, nei testi del concilio Vaticano II si incontra spesso l’espressione “questo santo sinodo”.
Nella storia della Chiesa vi sono sempre stati dei sinodi, di dimensioni diverse a seconda delle circostanze temporali. La sinodalità non è dunque una conquista degli ultimi decenni o, men che meno, degli ultimi anni. La Chiesa ha conosciuto sinodi generali (o concili), sinodi locali e particolari e, da Paolo VI in avanti, le assemblee del sinodo dei vescovi. I sinodi, tuttavia, e i concili, non sono dei “parlamenti”, con membri elettivi che decidono a maggioranza sulle questioni di fede e di morale. La ragione, come usava sottolineare l’allora card. Ratzinger, è che la Chiesa è di istituzione divina e non è una federazione di chiese particolari, dove ciascuna decide per conto proprio.
E, in effetti, per comprendere la questione e i rischi del “sinodo” tedesco bisogna andare indietro proprio agli anni del postconcilio e alle prime contestazioni di alcuni vescovi tedeschi, nello specifico riguardo alla Humanae vitae di papa Paolo VI, così come a tutta una serie di eventi successivi, in cui, sempre in ambito germanofono (inclusa la Svizzera tedesca) si criticavano il centralismo ecclesiale romano e la struttura gerarchica della Chiesa universale.
All’ordine del giorno era sempre l’idea di una modernizzazione della prassi ecclesiale, motivata dal progressivo allontanamento di molti fedeli dalla vita della Chiesa. In Germania, poi, a rendere più complessa la situazione c’era, e c’è, la presenza della cosiddetta “tassa ecclesiale”, che, diversamente dall’8 per mille italiano, è una tassa in più, che lo Stato riscuote per conto delle chiese e a cui ci si può sottrarre dichiarando presso un pubblico ufficiale di non appartenere più a una delle due chiese (evangelica o cattolica).
L’insofferenza nei confronti della Chiesa gerarchica negli scorsi decenni si è più volte manifestata per lo più principalmente a livello di prassi, ignorando sistematicamente, se non ridicolizzando, il magistero di papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI. A partire almeno dal 2018 la contesa ha però assunto contorni nuovi, quelli del cosiddetto “cammino sinodale” (Synodaler Weg), uno strumento istituzionale – questo è il punto – le cui origini immediate risalgono alla perizia sugli abusi sessuali del clero commissionata dai vescovi tedeschi e pubblicata nel 2018. Si trattava di un documento di quasi 400 pagine in cui si auspicava una revisione della “morale sessuale cattolica” e il suo adattamento alla società contemporanea.
L’anno successivo, la Conferenza episcopale tedesca, insieme con il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi (“Zentralkomitee der deutschen Katholiken”, ZdK, si chiama proprio così l’organismo rappresentativo dei laici tedeschi) deliberò l’avvio di un “cammino sinodale”, che avrebbe dovuto cambiare il volto della Chiesa tedesca e recuperare la fiducia dei fedeli, smarrita a causa degli abusi. Oltre che della morale sessuale, tuttavia, il “cammino sinodale” veniva incaricato anche di elaborare nuovi modelli di vita per il clero, un nuovo ruolo delle donne nella Chiesa e lo smantellamento delle strutture di potere interne alla Chiesa. La terminologia clericale lasciva comunque trasparire i veri obiettivi: abolizione del vincolo del celibato sacerdotale nella Chiesa di rito latino, sacerdozio alle donne, adeguamento della morale sessuale, matrimonio omosessuale, eccetera. Allo scopo di perseguire e consolidare questa finalità, il sinodo si autodefiniva come un organo deliberante, composto pariteticamente di esponenti elettivi dell’episcopato e del laicato. Secondo il suo statuto, l’Assemblea sinodale, i cui membri hanno tutti lo stesso diritto di voto, adotta a maggioranza le risoluzioni ed esse hanno carattere “vincolante”.
Roma intervenne con una lettera, firmata da papa Francesco il 29 giugno 2019, in cui, pur valorizzando un certo desiderio di cambiamenti, si metteva in questione il diritto di una tale assemblea di pronunciarsi in forma “vincolante” su materie di cui è competente la Chiesa universale. L’allora presidente dei vescovi tedeschi, card. Reinhard Marx, rispose ribadendo la natura particolare del sinodo tedesco e il 1° dicembre dello stesso anno, nella cattedrale di Monaco di Baviera, ne inaugurò comunque i lavori. Insomma, con tutti i tatticismi diplomatici del caso, la risposta fu, di fatto, un “tiriamo dritto” malgrado Roma.
Nei mesi successivi il dibattito, portato avanti senza attenzione reale ai ruoli differenti di vescovi, clero e laicato, portò alcuni vescovi tedeschi, con in testa mons. Rudolf Voderholzer (Ratisbona) ad abbandonare i lavori e a proporre un testo alternativo (che ebbe subito anche il sostegno del card. Walter Kasper). Come reazione (settembre 2021), mons. Bätzing (Limburg), presidente della Conferenza episcopale tedesca (da marzo 2020) oltre che del Cammino sinodale tedesco, affermò che il sinodo avrebbe “segnato la via” al processo di riforme avviato da papa Francesco.
A oggi, dopo un’esplicita richiesta scritta da parte dei cardinali Fernández, Parolin e Prevost (che presiedono i più alti dicasteri vaticani) il “pacchetto riformistico” uscito dal sinodo è sospeso e la conferenza episcopale l’ha tolto dall’ordine del giorno della propria assemblea in corso ad Augusta. Sulla Tagespost (l’equivalente tedesco di Avvenire) del 20 febbraio scorso si leggono le dichiarazioni del teologo Helmut Hoping (Friburgo i.B.), secondo cui il recente intervento vaticano rappresenta un duro colpo al “cammino sinodale”, nella sua pretesa di cambiare la struttura gerarchica della Chiesa, mentre la richiesta della ZdK di approvare comunque, contro Roma, il documento finale sarebbe un atto scismatico. Secondo Hoping (e secondo la Santa Sede) tali risoluzioni non rientrerebbero nelle forme previste dal diritto canonico e sarebbero invalide, “con tutte le conseguenze del caso”. Sulla stessa pagina, la Tagespost, che in parte riflette le divisioni interne alla Chiesa tedesca, pubblica anche la dichiarazione di Georg Bier, professore di diritto canonico a Friburgo, secondo cui, invece, al momento non si è di fronte al rischio di uno scisma, ma solo a forme di pressione su Roma.
Intanto, il 21 febbraio, ad Assemblea dei vescovi in corso, si registra l’intervento, a gamba tesa, di Gregor Podschun, presidente dell’Associazione Federale dei Giovani Cattolici Tedeschi ed esponente di “Noi siamo Chiesa” (“Wir sind Kirche”), che ha chiesto ai vescovi di adottare, comunque, il documento sinodale, anche contro Roma e contro i tre cardinali. Podschun, che si era già reso noto per aver sostenuto la necessità di introdurre anche la libera determinazione del genere nel processo di revisione della morale cattolica, fa eco a mons. Bätzing, che, a sua volta, ha dichiarato che nella Chiesa tedesca stanno crescendo l’insofferenza e l’impazienza per le mancate riforme.
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