Si scrive Cbam, si legge dazio sulla CO2 e come effetto collaterale promette di aumentare i costi di acquisto delle materie prime: spingendo verso l’alto i prezzi e mantenendo alta l’inflazione in Europa. Il Carbon Border Adjustment Mechanism, meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera, entrato in vigore nell’Ue, introduce una serie di disposizioni sulle informazioni relative ai beni importati, alla loro impronta carbonica, al registro in cui immettere tali informazioni e alle relative sanzioni.



Dal primo ottobre nella fase transitoria ed effettivo a partire dal primo gennaio 2024 e progressivamente per i prossimi due anni, il meccanismo interesserà un numero crescente di aziende europee sulla base del numero di occupati e giro d’affari, di settori ad alta intensità di carbonio e alto rischio di rilocalizzazione. Le imprese dell’alluminio, cemento, elettricità, fertilizzanti, idrogeno, ferro e acciaio, dovranno conformarsi a un reporting extrafinanziario, il cui mancato rispetto fa scattare sanzioni dai 10 ai 50 euro a tonnellata. Questo reporting addizionale non riguarda solo le attività dirette dell’impresa, ma si riconduce all’intera catena di valore coinvolgendo anche la realtà di PMI in qualità di fornitori e subappaltatori di gruppi industriali.



Un incredibile appesantimento burocratico e aggravio di costi tra certificazioni e risorse necessarie per la rendicontazione come hanno denunciato alcune associazioni del settore, che va a penalizzare la competitività delle imprese europee alle prese con la difficile congiuntura economica. Alla fine saranno i consumatori e lavoratori a pagarne le conseguenze: costo della vita più elevato e rischio di perdita di occupazione.

Un’indagine della società di consulenza Deloitte su 700 aziende europee ha rilevato che il 60% delle imprese interessate dal meccanismo non conosce i requisiti del Cbam. Ancora più grave la situazione presso gli esportatori fuori dall’Ue, dove 4 produttori su 5 non ne sono a conoscenza. Oltre alle complicazioni si teme che le aziende straniere possano semplicemente smettere di esportare nell’Ue se trovano troppo costoso o troppo confuso il prelievo alla frontiera della tassa sul carbonio. Inoltre, rimangono aperte questioni dirimenti, per esempio, su chi esattamente dovrà pagare. Per esempio, Paesi come gli Usa e Gran Bretagna dotati di una legislazione sul clima dovrebbero essere meno esposti; ma comunque senza esonerarli dal carico di procedure di rendicontazione.



Il Cbam è l’ennesima raffigurazione del divario esistente tra “la volontà di fare” e “il potere di fare problematico” in materia di politiche climatiche.

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