Dopo il viaggio di domenica a Lampedusa di Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen, una delle due ha già mantenuto quanto promesso. È la premier italiana, che ieri in Consiglio dei ministri ha fatto approvare le misure annunciate. Due gli interventi: l’allungamento fino a 18 mesi (è la durata massima prevista dalle norme europee) del periodo in cui i migranti entrati irregolarmente potranno essere trattenuti nei centri per i rimpatri in attesa dell’identificazione e, appunto, del reimbarco verso la nazione d’origine; l’altro provvedimento è la moltiplicazione dei Cpr stessi. “Daremo mandato al ministero della Difesa”, ha detto la Meloni, “di realizzare nel più breve tempo possibile le strutture per trattenere gli immigrati illegali. Anni di politiche immigrazioniste hanno fatto sì che oggi, in Italia, siano pochissimi i posti disponibili nei Cpr. I nuovi Cpr verranno realizzati in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili. Non si creerà ulteriore disagio e insicurezza nelle città”. Le due proposte saranno inserite nel decreto Sud per renderle immediatamente efficaci.
Chi invece non ha dato seguito alle parole dette a Lampedusa (“Decidiamo noi chi entra in Europa, non i trafficanti di esseri umani”) è la presidente della Commissione Ue. Von der Leyen ha lanciato un decalogo di proposte, ha detto di volere riaprire il dossier immigrazione ma ha lasciato che ad attuarlo siano i singoli Stati e non l’Unione in quanto tale. E come la pensino i partner europei è ormai chiaro: l’accoglienza è doverosa, come la solidarietà verso l’Italia, ma loro non se ne occuperanno. Le frontiere di Francia, Germania, Austria ma anche di un Paese come la Polonia – che sulla carta dovrebbe essere vicino al centrodestra italiano – resteranno chiuse per i disperati sbarcati dal Nordafrica. Molte cancellerie hanno contestato gli accordi presi da von der Leyen, Meloni e l’olandese Rutte con il presidente tunisino Kais Saied in quanto sottoscritti senza chiedere il parere preventivo dei Ventisette.
La bocciatura del memorandum Ue con la Tunisia è stata messa nero su bianco dall’Alto rappresentante per la politica estera Ue, lo spagnolo Josep Borrell, il quale in una lettera al collega responsabile delle politiche di vicinato, Olivér Várhelyi, lo definisce “un’azione unilaterale incomprensibile”. Borrell è un papavero del Partito socialista europeo, e proprio contro la sinistra si è scagliata ieri la Meloni a Palazzo Chigi: “Dispiace constatare”, ha detto, “che parte delle forze politiche italiane ed europee, per ragioni ideologiche o, peggio, per calcolo politico, remino contro e facciano di tutto per smontare il lavoro che si sta portando avanti”. Alla lettera di Borrell si aggiungono “gli appelli dei socialisti europei” e le “prese di posizione di diversi esponenti della sinistra ma non solo. La volontà della sinistra europea è rendere ineluttabile l’immigrazione illegale di massa”.
Il problema è che a Bruxelles il Pse resta alleato del Ppe e che von der Leyen, in vista del voto di primavera e di una riconferma alla guida della Commissione, non ha intenzione di chiudere con i socialisti. E il tentativo dei conservatori europei di accreditarsi presso il Ppe come potenziale alternativa al Pse sta andando a vuoto. Popolari e socialisti sembrano avviati a rinnovare il patto per governare l’Ue e la von der Leyen pare non abbia la forza di sostenere le ragioni dell’Italia a scapito di quelle dei leader socialisti. Filo-italiana a Lampedusa e a Tunisi, ma non a Bruxelles: qual è il vero volto di Ursula?
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