Con un voto unanime, il governo ha varato la nuova stretta anti-Covid. E per la prima volta ha imposto la vaccinazione obbligatoria per tutti coloro che hanno più di 50 anni, a parte i casi di “accertato pericolo per la salute” attestati dal medico di base o dal medico vaccinatore. Gli ultracinquantenni, dunque, dal 15 febbraio non potranno nemmeno presentarsi al lavoro senza il super green pass, ovvero il certificato rilasciato solo ai vaccinati e ai guariti, non ai tamponati. Chi ne sarà privo verrà trattato come gli insegnanti: posto di lavoro conservato ma sospensione dell’operatività e dello stipendio. Chi non avrà controllato sarà multato.



Il green pass base servirà per i servizi alla persona: negozi, banche, uffici pubblici, parrucchieri, e così via. Una sola eccezione: supermercati e negozi di generi alimentari. Nuove regole anche per la didattica a distanza. Alle scuole elementari, con un solo contagio, la lezione resta in presenza con test di verifica, ma con due va tutta a distanza. Alle medie e superiori la Dad scatta solo al terzo caso in classe, mentre con due casi solo i vaccinati completi restano in presenza e comunque monitorati, gli altri se ne vanno a casa davanti al computer. Anche alle superiori, con un caso è prevista l’autosorveglianza per tutti con test gratuiti e utilizzo delle mascherine Ffp2.



Come si vede, l’affare si complica sempre di più. Le disposizioni stanno diventando una giungla e talvolta sono palesemente contraddittorie. A scuola, per esempio, con la differenza tra elementari e le altre classi per il numero che fa scattare la Dad: è segno che tra i più piccoli le vaccinazioni arrancano. Alle medie e superiori si pone una discriminazione tra chi è vaccinato e chi no, con rischio di contrapporre studenti e famiglie più di quanto non si stia già verificando. Letteralmente scoppia di nuovo la lotta di classe, con Mario Draghi al posto di Carlo Marx.

È il segno che il voto unanime ha approvato un testo di mediazione che si regge su un equilibrio fragilissimo. Nel governo si radicalizza lo scontro tra gli ultras dei vaccini e delle chiusure, cioè Pd e Leu più il ministro Brunetta, e dall’altra parte il fronte più aperturista di Lega e M5s, con il ministro Giorgetti che si è ritrovato sul fronte opposto rispetto a Draghi. I centristi di Forza Italia e i renziani, cioè i veri pasdaran di Draghi, quelli che l’hanno voluto e sostenuto fin dall’inizio, ora tentennano, facendo indispettire lo stesso premier che si attenderebbe più appoggio.



Il fatto che nei servizi basterà il green pass base e non il super è una vittoria della Lega. Che in serata ha fatto circolare una nota secondo la quale il governo si è impegnato a stabilire il diritto all’indennizzo in caso di danni causati dal vaccino anti-Covid. Nelle prime veline di Palazzo Chigi di questo impegno risarcitorio non c’è traccia: anche questo è un segnale di profonda tensione. Di fatto, l’inasprimento dell’impiego del super green pass e l’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni diventa una caccia ai no vax. Ma con questa ondata altissima di contagi e questo livello di trasmissibilità, sono davvero loro, quel 10% della popolazione che non ha ancora fatto nemmeno una dose, i soli responsabili di tutto? E i numeri dei ricoveri, sostanzialmente stabili a fronte di un numero sempre crescente di contagi, giustificano l’imposizione di nuovi obblighi?

Il voto unanime, alla fine, copre la profonda spaccatura nella maggioranza alla vigilia del voto per il Quirinale. Ma va notato che ieri sera la tradizionale conferenza stampa è stata annullata: Draghi davanti ai giornalisti non avrebbe potuto tacere sulle divisioni interne. Il governo sembra al capolinea. Quello di ieri potrebbe anche essere l’ultimo atto politico prima del voto per il Quirinale. Un governo che negli ultimi mesi è stato tenuto in piedi dal semestre bianco e che ora si prepara a un probabile liberi tutti. Dal quale il primo a sentirsi svincolato sembra proprio Mario Draghi, che non vede l’ora di lasciare Palazzo Chigi per traslocare al Colle.

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