I ceceni rubano i bambini ucraini per “rieducarli” in Russia. È l’allarme lanciato dall’Onu, che come riportato da Avvenire ha confermato l’esistenza di un piano di indottrinamento dei “figli della guerra”. I minorenni che dall’inizio del conflitto sono stati vittime di questo processo sarebbero oltre 700 mila, ma potrebbero essere molti di più. “Al momento ci sono solo delle stime e nessun dato certo. Quello che sappiamo è che sono state varate delle norme che vanno in contrasto con il diritto internazionale”, ha affermato Filippo Grandi, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.



Il riferimento è ad alcune norme russe che prevedono la possibilità di fare cambiare la cittadinanza ai minorenni senza il “via libera” dei genitori e facilitarne l’adozione nel proprio Paese. Le loro famiglie di origine non hanno più contatti con i bambini da mesi. Alcune mamma sarebbero state ingannate dai ceceni, che avrebbero promesso loro di portare i piccoli al sicuro e di mantenere attivi i contatti. Ciò, tuttavia, non è mai avvenuto. Altri “figli della guerra” sono semplicemente orfani prelevati dagli istituti minorili.



Ceceni rubano bambini ucraini per “rieducarli”: dove sono i minori scomparsi?

I bambini ucraini rubati dai ceceni per essere “rieducati”, adesso, si troverebbero in diversi campi di addestramento, tra cui in particolare in quello dell’Accademia russa delle Forze speciali nella capitale Grozny. I ricercatori del Centro per i diritti umani dell’Università di Yale hanno incrociato alcune testimonianze e immagini satellitari per scoprire dove sono stati trasportati gli oltre 700 mila minorenni coinvolti. Le strutture adibite alla causa, secondo analisi portate avanti da diverse associazioni umanitarie, sarebbero almeno 43.



“L’allontanamento forzato dei minori è un crimine gravissimo. Chiediamo una commissione internazionale indipendente guidata dall’Onu che sia in grado di investigare e approfondire per determinare con precisione cosa sta accadendo e per tutelare questi bambini e restituirli alle loro famiglie e alle comunità di origine”, ha commentato Filippo Ungaro, capo della comunicazione di Save the Children.