Cecilia Sala va liberata, subito. La sua detenzione al momento non è stata giustificata da alcun capo di imputazione che giustifichi il suo trattenimento nelle galere iraniane. Non le sono stati addebitati atti violenti né tantomeno comportamenti scorretti dal punto di vista deontologico, anzi l’unica debole accusa è quella di non aver rispettato la legge islamica, senza neppure indicare quale dei precetti sarebbe stato violato. Alle attuali condizioni è un trattenimento del tutto privo di logica, illegale, contrario ad ogni norma di buon senso e di diritto. Il motivo della sua incarcerazione appare più che altro legato a vicende estranee alla sua attività professionale. L’arresto alcuni giorni fa di un ingegnere iraniano di transito a Malpensa, Mohammad Abedini-Najafabadi, accusato dagli americani di essere nella sostanza un appartenente a un’organizzazione terroristica, potrebbe non essere così irrilevante ai fini della soluzione del caso Sala.
L’ingegnere sarebbe in relazione con lo Stato iraniano ma non apparterrebbe ad alcuna delle organizzazioni riconosciute come terroristiche dall’ONU o dall’Unione Europea. È invece sicuramente un nemico per gli Stati Uniti, che ne hanno chiesto il fermo e successivamente l’estradizione.
In questo gioco geopolitico il nostro Paese si è ritrovato involontariamente al centro di eventi gravi e difficilmente gestibili senza avere nettezza e scaltrezza sul piano diplomatico. Per un verso, infatti, abbiamo ottimi rapporti con alcune delle potenze regionali invise agli Stati Uniti, come l’Iran. Mentre per un altro verso predichiamo costantemente la piena adesione ai valori atlantici, intendendo con essa una piena condivisione di obiettivi e strategie degli Stati Uniti. Cecilia Sala è una giornalista giovanissima, ha un padre illustre e di grande influenza, viaggia da anni in tutti gli scenari raccontando la sua verità, si espone personalmente per le battaglie in cui crede ma è, suo malgrado, un bersaglio sin troppo semplice da accalappiare come preziosa pedina in un contesto complesso come quello mediorientale. La sua esposizione mediatica ed anche la nettezza delle sue posizioni la rendono inevitabilmente visibile ed estremamente semplice da utilizzare per fare pressione. Gli Stati Uniti impediscono ai loro cittadini di entrare in Iran e negli altri Paesi considerati “Stati canaglia”, proprio per non trovarsi nella spiacevole situazione di dover poi gestire eventuali ritorsioni sui propri connazionali. A noi invece piace raccontarci l’idea di un Paese neutrale e amico di tutti, quando ci conviene, ma allo stesso tempo schierato fedelmente quando ci viene rammentato qual è il lato dello schieramento a cui dobbiamo per forza di cose appartenere. In guerra la neutralità non esiste, non è mai esistita, anche chi non si schiera alla fine prende una posizione e ne paga comunque le conseguenze.
Oggi il trattenimento della Sala è un atto di grande gravità, ma è anche una chiamata alla responsabilità del governo e della politica tutta, che deve evidentemente rimeditare al modo in cui il nostro Paese viene percepito sullo scacchiere internazionale. Alcune voci del governo dicono che si potrebbe anche tentare la carta di evitare l’estradizione dell’ingegnere iraniano per avere un ammorbidimento della posizione iraniana sulla Sala, ma in questo modo saremmo nelle condizioni di una duplice debolezza, esposti al ricatto di chiunque voglia chiederci qualcosa in cambio trattenendo illegalmente un nostro connazionale, ed allo stesso tempo inaffidabili alleati del partner americano.
Al momento la situazione è però di tale gravità che una delle due strade si imporrà assolutamente. O rivendichiamo maggiore autonomia nelle scelte di politica estera, e quindi ci comportiamo in maniera autonoma di fronte a richieste come quella dell’estradizione dell’ingegnere iraniano, laddove non siano soddisfatti tutti i principi dello Stato di diritto; o rimaniamo fedeli alla linea atlantica, costi quel che costi. Il governo ha probabilmente molte più carte di quelle che crede da poter giocare su entrambi i fronti, visto che la duplicità di interessi che rappresentiamo deve avere evidentemente un valore da poter spendere su quei tavoli per fare sì che la Sala rientri sana e salva. Questo è evidentemente l’auspicio di tutti, ma dovrà poi iniziare una riflessione su come intendiamo porci come nazione e di come vengono gestiti i visti e le autorizzazioni per poter interagire in territori e scenari dove il rischio di essere strumentalizzati è evidentemente altissimo.
Far finta di essere la simpatica nazione dello spaghetto e della pizza a cui tutti vogliono bene non regge più. Serve una scelta di maturità che la classe politica italiana attuale fa fatica a fare, presa com’è da vicende tutte interne e ripiegata su dinamiche di piccolo cabotaggio. Il gioco internazionale attorno a noi è completamente cambiato, gli unici attori nazionali in grado di poter svolgere un ruolo sono ormai solo le grandi aziende energetiche di Stato, che sono comunque molto indebolite rispetto al potere di qualche decade fa. Il nostro complesso militare non ha la grandezza sufficiente a fare pressione su nessuno e allo stesso tempo la nostra dipendenza da dinamiche estranee ai nostri interessi nazionali ci rende deboli.
Ultimo elemento estremamente preoccupante è il fatto che i nostri servizi segreti non abbiano avuto la sensibilità di percepire come l’arresto dell’ingegnere iraniano avrebbe esposto i nostri concittadini in Iran ad azioni di ritorsione. Qualcuno ha messo in guardia la Sala dal pericolo di entrare in Iran? Ma questo sarà elemento da valutare in seguito. Per ora siamo talmente deboli da limitarci, probabilmente, ad essere spettatori dei tavoli sui quali vengono scambiati i nostri interessi e i nostri concittadini.
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