Il rilascio di Cecilia Sala è un copione già scritto, lo stesso che in passato ha portato alla liberazione di iraniani vicini al regime, condannati per reati commessi all’estero e poi liberati scambiandoli con cittadini europei presi appositamente in ostaggio dalle autorità di Teheran. Per questo, in cambio, gli ayatollah potrebbero aver ottenuto qualche assicurazione in merito all’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, arrestato a Malpensa. “Se non vuole che si ripetano altre vicende del genere – dice Shahrzad Sholeh, presidente dell’Associazione donne democratiche iraniane in Italia (ADDI) – l’Occidente deve essere molto più risoluto nell’affrontare le autorità di Teheran e non assecondare la politica degli scambi di prigionieri”. Intanto, l’Iran mette in archivio un anno record per le esecuzioni capitali, durante il quale sono morte mille persone, quasi la metà delle quali nell’ultimo trimestre: un altro segnale della crisi profonda che il regime sta attraversando.
Conoscendo le autorità iraniane, come hanno gestito il caso Cecilia Sala e come mai si è arrivati a questa inattesa liberazione?
Come Associazione donne democratiche iraniane, da una parte siamo molto contente perché Cecilia Sala è stata rilasciata. Ci congratuliamo con la famiglia. Secondo noi non doveva assolutamente essere presa in ostaggio. Il suo caso è tipico di una politica che il regime iraniano mette in atto da anni: prende persone straniere in ostaggio per poterne trarre vantaggi, per chiedere qualcosa in cambio ai Paesi occidentali.
Come si comporta in questi casi il regime?
Basta guardare a quello che è successo in passato, alla liberazione del diplomatico terrorista Assadollah Assadi, condannato a 20 anni di carcere in Belgio per aver organizzato un attentato, sventato, a un raduno del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (NCRI), cioè di oppositori del regime, che doveva svolgersi a Parigi nel 2018. Avrebbe potuto provocare migliaia di vittime. Nel 2023 è stato scambiato con un operatore umanitario belga preso in ostaggio in Iran. Un altro fatto simile è successo in Svezia e ha portato alla liberazione di Hamid Nouri, il boia del genocidio dei prigionieri politici (secondo alcune stime 30mila) nel 1988. Anche lui era stato condannato, ma alla fine è stato liberato scambiandolo con un cittadino svedese. Per questo il NCRI ha sempre detto che non si deve scendere a patti con il regime iraniano.
L’Iran sostiene che la vicenda di Cecilia Sala non c’entra niente con Abedini, l’ingegnere iraniano bloccato in Italia. La contropartita che l’Iran ha chiesto all’Italia e all’Occidente è la sua liberazione oppure qualcosa di più politico, relativo all’accordo sul programma nucleare o all’attacco militare minacciato da Israele?
Noi non sappiamo niente in merito alle trattative. Quello che è successo negli altri casi di cui siamo a conoscenza è questo: uno scambio di persone. Noi riteniamo, comunque, che la politica occidentale di accondiscendenza nei confronti del regime iraniano non paghi. Se ci fosse stata maggiore fermezza nei casi che si sono verificati in Belgio e Svezia, forse il regime non avrebbe avuto il coraggio di riprovarci.
Vuol dire che in un’altra occasione del genere il regime prenderà un altro ostaggio, sicuro di ottenere qualcosa in cambio?
È una situazione che va avanti da 45 anni: l’adozione della politica del compiacimento, della contrattazione o della negoziazione con il regime iraniano su queste materie ha reso questo sporco affare redditizio per il regime e lo ha incoraggiato a continuare.
Cosa deve fare allora l’Occidente per mettere fine a questa politica?
Speriamo che il regime venga punito per quello che ha fatto. Ormai l’Iran è diventato un carcere per gli iraniani, ma sta prendendo in ostaggio anche cittadini di altri Paesi. Quando parliamo di linea della fermezza intendiamo, ad esempio, chiudere le ambasciate iraniane, inserire i Pasdaran nella lista delle organizzazioni terroristiche.
In Iran, intanto, la situazione degli oppositori sta peggiorando. Sono aumentate, e anche di molto, le esecuzioni capitali. Cosa sta succedendo?
Nel 2024 si sono svolte almeno mille esecuzioni, distribuite in 86 carceri. Sono morte 34 donne, 7 minorenni, 119 beluci (abitanti della regione iraniana del Belucistan, nda), e sono state eseguite 4 impiccagioni pubbliche. La crisi del regime è sempre più profonda e con questo è aumentato il ritmo delle esecuzioni; quasi la metà, il 47%, riguarda l’ultimo trimestre. Il primo giorno dell’anno nuovo, invece, sono state giustiziate 12 persone a Qezelhessar, Bandar Abbas, Yasuj e Malayer.
Che cosa trapela della situazione nelle carceri?
Un prigioniero politico, Saeed Masouri, detenuto da 25 anni a Ghezel Hesar, in una lettera inviata all’ONU ha ricordato tutti i compagni di cella che hanno perso la vita, riferendo di un’esecuzione ogni quattro ore. Nel periodo di Natale sarebbero state uccise 25 persone. Ha raccontato del disegno di una bambina di 6 anni che ha rappresentato se stessa e la madre vicino al luogo dove suo padre doveva essere giustiziato. Proprio in questi giorni due prigionieri politici dei Mojahedin del Popolo stanno per essere impiccati, uno ha 69 anni, l’altro 40. La loro colpa è l’appartenenza all’opposizione.
Per far cadere il regime occorre un’azione militare?
Come Resistenza iraniana non chiediamo aiuto a nessuno esterno al Paese. La gente in Iran sa come far cadere il regime, basta che non venga appoggiato dall’Occidente.
(Paolo Rossetti)
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