Il caso di Cecilia Sala, la giornalista arrestata in Iran per motivi ancora da chiarire, è meglio lasciarlo alla diplomazia. Su questo piano può essere trovata una soluzione per liberarla. Di certo, però, spiega Shahrzad Sholeh, presidente dell’Associazione donne democratiche iraniane in Italia, la sua vicenda non è nuova per il regime degli ayatollah. In momenti di grande debolezza, come quello che sta attraversando in questo periodo, Teheran tende a tenere sotto pressione i Paesi stranieri per ottenere in cambio qualche vantaggio. In Iran, d’altra parte, ci sono continue proteste per la mancanza di energia elettrica, per l’economia in crisi, per la povertà della popolazione, almeno di una parte consistente di essa. Se a questo si aggiunge che nel contesto mediorientale il Paese ha perso l’appoggio della Siria e ha visto indebolirsi notevolmente la presenza di Hamas ed Hezbollah, si capisce come si trovi in estrema difficoltà, segnalata anche dal fatto che sul fronte interno c’è stato un giro di vite nelle esecuzioni capitali. La rappresentanza italiana del Consiglio nazionale della Resistenza iraniana, intanto, condanna la “presa in ostaggio della giornalista italiana”, ma chiede anche una politica ferma nei confronti della dittatura per evitare che usi questo metodo per “ricattare” gli altri Paesi e ottenere, come è successo in passato, la liberazione di iraniani che hanno commesso crimini fuori dai confini nazionali.
Come si spiega l’arresto della giornalista italiana Cecilia Sala? È possibile capire qualcosa di più sulla vicenda?
Quello che è successo rappresenta una politica costante del regime. Ogni volta che si trova in una strada a senso unico prende in ostaggio i cittadini stranieri oppure qualcuno che può usare per ottenere dei vantaggi. Da quando è arrivato il presidente Masoud Pezeshkian, ritenuto un moderato, in realtà sono aumentate le esecuzioni: sono state impiccate 670 persone in sei-sette mesi, il numero più alto dal 2003 a oggi.
Che momento è per il regime quello attuale?
Vive una situazione di isolamento nazionale e internazionale. Il Paese sta affrontando una crisi profonda, che è dovuta a un’economia ormai in bancarotta e a una povertà diffusa: per questo la società civile vuole rovesciare il regime. E per lo stesso motivo l’Iran ricatta i Paesi stranieri in situazioni come quella che si è creata con l’Italia.
Il regime si è comportato così anche in altre occasioni, con altri Paesi?
Sì. Ci sono tanti esempi del genere, è successo con il Belgio, con la Svezia, non è la prima volta. Ci sono diversi cittadini stranieri che sono ancora in carcere in Iran.
Cosa vuole in cambio dai loro Paesi il regime?
È nel suo peggior momento di debolezza: non può più contare sui suoi alleati in Medio Oriente, come Hamas e Hezbollah, ha perso la Siria, che considerava come una delle sue regioni. In Iran la gente protesta ogni giorno e spera in un rovesciamento politico. In un contesto come questo il regime cerca di sopperire all’indebolimento tentando di ritagliarsi un maggiore spazio di azione.
Diversi media sostengono che Cecilia Sala potrebbe essere la contropartita per la liberazione di un iraniano arrestato in Italia per traffico d’armi. Può essere questo lo scambio che Teheran ha in mente? Oppure punta a obiettivi più politici?
In passato ha chiesto uno scambio di prigionieri, ma gli iraniani potrebbero essersi mossi per ottenere qualche “favore” politico. Possono chiedere di tutto. Sul caso specifico, tuttavia, come oppositori preferiamo non commentare. È meglio così, anche per la giornalista. Non sappiamo niente riguardo alla sua posizione specifica. L’unica cosa che possiamo dire è che non è il primo né sarà l’ultimo caso del genere fino a che ci sarà questo regime. Per questo, in generale, all’Europa chiediamo fermezza nei confronti del regime stesso. Per quanto riguarda il caso di Cecilia Sala, comunque, è meglio lasciare fare ai diplomatici.
Per cosa si protesta oggi in Iran?
Manca l’energia elettrica, i lavoratori si lamentano perché non arrivano i soldi, le scuole vengono chiuse. Questo nonostante l’Iran sia un Paese ricco: purtroppo, però, ha speso miliardi in Siria come in Libano, per poter controllare questa parte della regione mediorientale. Ma ora ha perso tutto.
C’è una possibilità concreta di cambiare regime? E il governo di Pezeshkian, considerato più moderato rispetto ai precedenti, ha modificato la situazione?
La gente non vuole questo regime e prima o poi verrà rovesciato. La moderazione del governo Pezeshkian è solamente di facciata: il numero delle esecuzioni di questi ultimi mesi lo dimostra.
(Paolo Rossetti)
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