Una contropartita per gli iraniani e una per gli americani. La trattativa che ha portato alla liberazione della giornalista Cecilia Sala, arrestata con un pretesto in Iran, potrebbe essersi conclusa con un do ut des su due fronti, concedendo a Teheran di non estradare negli USA Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere iraniano bloccato a Malpensa su richiesta USA, ma anche aprendo con Washington alla possibilità di firmare un contratto miliardario con Musk sulle telecomunicazioni. Un’ipotesi da tenere in considerazione, dice Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri, con al suo attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo.
In fondo, Elon Musk è diventato il braccio destro del nuovo presidente statunitense, che, da parte sua, quando c’è da concludere un affare vantaggioso per gli USA non si tira indietro. Anzi, per il tycoon è la contropartita migliore che gli si possa offrire. Di sicuro, l’opportunità di un contratto con l’Italia non ha fatto male alla trattativa e al clima che si è instaurato con gli americani, tenendo conto del fatto che, vista la politica di disimpegno dalla guerra annunciata da Trump in Ucraina (e in Medio Oriente), alla fine su un ideatore di droni si poteva mollare la presa.
Generale, la liberazione di Cecilia Sala è avvenuta grazie a uno scambio di favori in relazione al caso dell’ingegnere iraniano arrestato a Malpensa e accusato di avere fornito droni all’Iran?
Diciamo che, di solito, a fronte di una liberazione di questo tipo, specie quando avviene in un Paese dittatoriale come l’Iran, viene dato qualcosa in cambio. In realtà, Procura e Tribunale sono indipendenti dalla politica, potrebbero anche non concedere nulla. Non credo che lasceranno andare Abedini: vorrebbe dire perdere la faccia, anche se l’Italia avrebbe comunque riportato a casa una connazionale. Credo che ci si muoverà perché vengano concessi gli arresti domiciliari e non l’estradizione. I tempi non saranno velocissimi, perché la nostra burocrazia è così, ma penso che sia questa la strada più percorribile. La procedura potrebbe essere velocizzata a livello politico nel momento in cui verrà comunicato che non si concede l’estradizione.
La mancata concomitanza tra le due scarcerazioni, quindi, è solo per non giustificare troppo apertamente questo scambio?
Sarebbe stata una soluzione un po’ troppo appariscente. Farlo contestualmente sarebbe stato come dire: “Abbiamo ceduto al ricatto”. Così si salva un po’ la faccia.
Come mai, secondo lei, gli americani avrebbero prima dato il loro placet all’operazione e poi rinunciato ad Abedini?
È quello che mi chiedo. Potrebbe essere che, alla fine, il ruolo di questo ingegnere sia limitato, nel senso che i droni li fanno comunque e non c’è solo lui in grado di realizzarli o perfezionarli. Inoltre, forse Trump ha meno interesse ad arrestarlo perché i suoi obiettivi stanno cambiando: che l’Iran fornisca droni alla Russia (o ad altri) perché attacchi in Ucraina non è tra le sue priorità. È anche la politica americana che cambia e quindi variano gli interessi su certi obiettivi.
Il contratto tra l’Italia e SpaceX di Elon Musk per i satelliti Starlink potrebbe essere anch’esso parte della trattativa?
Direi che è possibile, anche se ci sono dei vincoli da considerare, come quello di non poter dare a un privato un’attività di difesa. Giorgia Meloni, però, potrebbe aver fornito la garanzia che ne avrebbe discusso, cercando di arrivare all’approvazione. Un fatto è certo: qualcosa in cambio agli Stati Uniti bisognava dare. Musk, ormai, è il consigliere principale di Trump, quello che lo finanzia, il suo uomo-ombra: molti degli accordi che si potranno fare con gli americani passeranno sicuramente da lui. Tra l’altro, aveva un buon rapporto con Meloni già da prima di questo incontro. È molto probabile che l’accordo fosse già sul tavolo, potrebbe essere diventato merce di scambio. La cosa migliore da offrire a Trump come contropartita, d’altra parte, è proprio stringere un affare.
Lei è stato in missione anche in Medio Oriente: che ruolo hanno i servizi nelle nostre operazioni e attività che si svolgono lì?
I nostri servizi funzionano bene, sono stimati, non hanno il potenziale israeliano ma sono funzionali e sono costituiti da persone equilibrate. La CIA, pur essendo diffusa capillarmente in tutto il mondo, non dà le stesse garanzie da questo punto di vista. I nostri lavorano bene e sottotraccia. Un lavoro di intelligence pura, diciamo così, attenendosi a quello che prevede la nostra politica: stare lì e acquisire informazioni a tutela del personale italiano e dello Stato. Quando sono stato in Albania si sentivano tantissimo, e lo stesso è successo anche in altre aree.
I rappresentanti dell’opposizione iraniana dicono che lo stratagemma di arrestare cittadini europei per poi scambiarli con qualche uomo del regime è stato usato diverse volte. Si può far perdere questa abitudine all’Iran?
No, è una dittatura. O diventiamo anche noi rigidi nei loro confronti, oppure dovremo subire. Sono Paesi nei confronti dei quali siamo perdenti in queste situazioni, perché non devono rendere conto di quello che fanno alle loro opinioni pubbliche. Un arresto come quello di Cecilia Sala da noi avrebbe scatenato le polemiche. Per essere sicuri di non avere ritorsioni bisognerebbe non mandare più nessun italiano in Iran. Sarebbe l’unica soluzione, ma mi sembra un po’ difficile da attuare.
(Paolo Rossetti)
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