Nei corridoi (semideserti) dei palazzi del potere c’è chi riprende la spietata osservazione di alcuni analisti: un modo per liberare in fretta Cecilia Sala dal carcere iraniano in cui è finita ci sarebbe. Basterebbe infilare su un aereo l’uomo dei droni, Mohammad Abedini Najafabadi, e rispedirlo a Teheran. Basterebbe, ma non si può fare. Primo, perché non si può avallare la strumentalizzazione degli ostaggi, cinicamente praticata dal regime degli ayatollah sin dalla presa del potere 44 anni fa; secondo (e più importante) perché il cittadino iraniano (in possesso anche del passaporto svizzero) è stato arrestato a Malpensa il 16 dicembre sulla base di un mandato di cattura statunitense. E Washington non ha perso tempo per richiederne l’estradizione.
Che l’arresto della giovane giornalista italiana sia una ritorsione è ormai evidente. Il dipartimento di Stato USA lo dice chiaro, parla di carcerazione ingiustificata e ne chiede il rilascio, immediato e incondizionato. Per di più quanto da lei pubblicato e messo online (cioè che per le strade della capitale iraniana il numero delle donne che non rispettano l’obbligo del velo aumenti sempre più) è interessante, ma non ha granché di sovversivo. Cecilia Sala conosce bene l’Iran, si è mossa sempre alla luce del sole: aveva un regolare visto giornalistico, si avvaleva di una traduttrice ufficiale, come prescritto dal regime, e rispettava le regole, indossando pure il velo, peer non attirare le attenzioni della polizia religiosa. Se sono andati a prelevarli in albergo tre giorni dopo l’arresto di Malpensa, significa che serviva una merce di scambio.
Siamo davanti a una serie di elementi che mettono in difficoltà il nostro governo: c’è il rapporto con l’alleato americano, ancora più delicato nel momento di un cambio di guida alla Casa Bianca, e ci sono con l’Iran relazioni commerciali consolidate. Degli ayatollah, infatti, siamo il primo partner fra i Paesi dell’Unione Europea, con un interscambio nettamente a nostro favore: nel 2023 ha toccato i 600 milioni di euro di export a fronte di soli 150 milioni di import. Un rapporto privilegiato appena scalfito dal fermo sostegno italiano a Israele dopo il 7 ottobre.
Ecco perché la nostra diplomazia si è mossa inizialmente con grande discrezione, sperando che i buoni rapporti consentissero di chiudere rapidamente la vicenda. Si voleva evitare che si ripetesse il caso di Alessia Piperno, che nello stesso carcere, quello tristemente famoso di Evin, due anni fa di giorni ne ha passati 45. Se dopo una settimana di riserbo assoluto la notizia è stata fatta uscire, provocando un polverone, è perché fra Palazzo Chigi e Farnesina hanno avuto netta la sensazione che la questione fosse assai più complessa del previsto. E non ci si poteva permettere che magari uscisse su media a stelle e strisce.
Cecilia Sala per di più è molto nota. I suoi podcast, i suoi libri, ma anche una bella rassegna stampa curata per un periodo agli albori del social parlato Clubhouse (“Fuori dalla bolla”), che fra i frequentatori più assidui aveva anche Guido Crosetto, all’epoca (correva l’anno 2021) semplice parlamentare dell’opposizione. Per l’attuale titolare della Difesa, come per Meloni e Tajani, il caso Sala è quindi un grattacapo grosso, di quelli di cui avrebbero fatto volentieri a meno. Ma non possono sottrarsi. Alla Farnesina la crema della nostra diplomazia è al lavoro per individuare una via d’uscita, che possa riportare la giovane giornalista a casa, senza che il nostro Paese debba perdere la faccia con l’alleato americano. Una soluzione di cui si comincia a parlare è di consegnare il signore dei droni alla Svizzera, l’altro Paese di cui ha la cittadinanza, scaricando su Berna l’onere di vedersela con gli USA.
Potrebbe però non bastare e la vicenda andare per le lunghe. Fra i nostri diplomatici non ci si fanno illusioni: la trattativa potrebbe andare per le lunghe. E di sicuro imporrà a tutta la nostra politica estera una grande cautela in ogni mossa che possa interessare il quadrante mediorientale. Anche perché il basso profilo chiesto ed ottenuto da stampa e opinione pubblica non potrà durare a lungo. Poi sarà il governo a finire sul banco degli accusati dei tanti che, giustamente, chiedono #freeCecilia.
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