L’ALLARME DELLA CEI DOPO SENTENZA UE: “LO STATO CI CHIEDE DI PAGARE L’IMU ARRETRATA”
A livello di opinione pubblica il caso è esploso ieri con la pubblicazione de “La Stampa” sul nuovo allarme interno alla Chiesa Italiana in merito alla vicenda delle tasse Ici/Imu da versare allo Stato, ma in realtà è dal marzo 2023 che un “macigno” in arrivo dall’Unione Europea grava sui conti della Conferenza Episcopale Italiana. Provando a riavvolgere il nastro per cercare di capire perché sembra che “di colpo” lo Stato chieda alla Chiesa tutti gli arretrati delle tasse sugli immobili (ex Ici, oggi Imu), partiamo dall’origine ovvero dall’annosa questione sul rapporto tra istituti religiosi e fisco: è annosa la critica di parte della politica e dell’opinione pubblica in merito al fatto che la Chiesa venga esentata dal pagamento delle tasse su abitazioni e immobili di sua proprietà, con di contro la risposta legata al fatto che nella maggior parte si tratta di opere come chiese, parrocchie, centri di aiuto, consultori etc. che svolgono un ruolo di aiuto, sostegno e servizio alla socialità.
Le varie polemiche negli anni si sono però tramutate in alcuni esposti nelle sedi giudiziarie, finché lo scorso marzo dall’Europa è giunta la dura reprimenda della Commissione Europea, facente riferimento ad una sentenza della Corte di Giustizia Ue nel 2018: in sostanza, Bruxelles ordina all’Italia di recuperare «gli aiuti di stato illegali concessi a entità non commerciali sotto forma di esenzione fiscale sulle proprietà immobiliari (Ici)». La Chiesa insomma dovrebbe tornare a pagare tutte le tasse arretrate ex Ici-Imu tra il 2006 e il 2011: il tutto dopo che 10 anni fa, il ministero dell’economia aveva indicato che l’esenzione comportava una perdita di gettito pari a circa 100 milioni di euro. La Commissione Ue in un primo momento non riteneva giusto che l’Italia dovesse chiedere gli arretrati alla Chiesa e alle altre entità, salvo poi nel 2018 la Corte di Giustizia ribaltare il tutto: «riconosce l’esistenza di difficoltà per le autorità italiane nell’identificare i beneficiari dell’aiuto illegale. Tuttavia, la Commissione conclude che tali difficoltà non sono sufficienti per escludere la possibilità di ottenere almeno un recupero parziale dell’aiuto. Ad esempio, l’Italia potrebbe utilizzare i dati delle dichiarazioni presentate ai sensi della nuova imposta sugli immobili e integrarli con altri metodi, comprese le autodichiarazioni», riportava la nota Ue del marzo 2023. Dopo alcuni mesi, si torna alla stretta attualità con la lettera inviata dalla Conferenza Episcopale Italiana (Cei) ai vari vescovi sottolineando la preoccupazione per il fatto quanto segue: «Molti enti ecclesiastici stanno ricevendo in questi giorni la notifica del provvedimento della Commissione europea, adottato lo scorso 3 marzo, relativo al recupero degli aiuti di Stato concessi sotto forma di esenzione dall’Imposta comunale degli Immobili (Ici) tra il 2006 e il 2011. La Segreteria generale sta monitorando la questione e fornirà indicazioni nei prossimi giorni».
Nelle lettere inviate dalla Cei vengono riportate anche le specifiche decisioni prese dalla Commissione Ue in merito alle tasse non pagate per 5 anni: nel dispositivo europeo si parla infatti di «recupero immediato e definitivo» in quanto «I) l’esenzione dall’ICI costituisce un aiuto illegale e incompatibile, II) l’esenzione dall’IMU e l’articolo 149 TUIR non costituiscono un aiuto, III) l’Italia e i beneficiari dell’aiuto non si sono avvalsi del legittimo affidamento quanto alla legittimità dell’aiuto e IV) le informazioni disponibili nelle banche dati fiscali e catastali non sono sufficienti da sole a consentire il recupero dell’aiuto».
MONS. BATURI (SEGRETARIO CEI): “GIUSTA IMU SU ATTIVITÀ COMMERCIALI MA CHI AIUTA RISCHIA DI ESSERE PENALIZZATO”
Come calcolato dal focus de “La Stampa” sul conto salatissimo che la Chiesa italiana dovrebbe ora versare per pagare Ici-Imu arretrate, sarebbero circa 11 i miliardi di euro complessivi da dover saldare. «Lo Stato ci chiede di pagarla», avverte nelle lettere della Cei il segretario generale dei vescovi italiani, mons. Giuseppe Baturi. Lo stesso prelato, oggi intervistato da “La Stampa”, fa il punto sull’intricata vicenda economico-fiscale che rischia di abbattersi sulla Chiesa Cattolica italiana. «Chi svolge un’attività commerciale è tenuto, come tutti, a pagare i tributi, anche la Chiesa» conferma mons. Baturi, il quale però rilancia sull’allarme che riguarda tutte le realtà che invece aiutano i ceti più deboli della società.
Il segretario Cei spiega innanzitutto perché la Chiesa era stata esentata da quei tributi: «lo Stato aveva riconosciuto come meritevoli di agevolazioni alcune attività, come appunto quelle scolastiche, assistenziali o sportive svolte in modalità non commerciali e spesso senza alcun margine di guadagno», in quanto offrivano tali realtà servizi importanti e di fatto “fuori mercato” colmando i vuoi del welfare statale-comunale. Al momento le notifiche arrivate non danno ancora l’ultimatum della riscossione ma, spiega Baturi, «è finalizzata a informare della possibilità di impugnare la decisione». Resta difficile quantificare la spesa complessiva se davvero si dovesse arrivare alla riscossione diretta: per il segretario Cei, «quantificare le somme dovute per ogni triennio verificando che siano inferiori alla soglia massima» è un grosso problema. Non solo, «è inutile negare», aggiunte il vescovo, «che tale situazione potrebbe mettere in difficoltà realtà che hanno come obiettivo l’esercizio della carità». Allontanando ogni possibile polemica “pelosa” da parte dei consueti ambienti anti-ecclesiastici, l’Imu la Chiesa la paga tutt’ora ed è giusto che sia così qualora le attività abbiano forma commerciale, alberghiera, senza alcuno sconto. Tuttavia, privare invece la collettività di una presenza «di prossimità e di sussidiarietà è un impoverimento per tutti», conclude monsignor Baturi a “La Stampa”. Servirebbe infatti distinguere la natura e le modalità con cui vengono condotte le richieste di tasse: «l’attuale disciplina dell’Imu non riconosce le esenzioni per le attività di interesse sociale svolte senza scopo di lucro. Si rischia il venir meno di importanti servizi e favore dei più deboli».