La “querelle” sulla riapertura delle chiese per la celebrazione delle messe ha visto i riflettori accendersi principalmente sui vescovi italiani e quindi sui rapporti fra Chiesa e Stato in Italia, storicamente peculiari. E’ invece rimasta in una relativa penombra la dinamica tutta politica che ha fatto da premessa alle decisioni del governo Conte sulla “ripartenza” e quindi alla dura reazione della Cei.
Secondo ricostruzioni non smentite l’input contrario alla ripresa delle messe è giunto – in termini abbastanza attesi – dal comitato tecnico scientifico di Palazzo Chigi. A insistere per trasformare l’indicazione in decisione politica sarebbero stati invece il capodelegazione Pd, il ministro ai Beni Culturali, Dario Franceschini, e il ministro alla Salute Roberto Speranza Leu. Fin da subito favorevoli a una riattivazione piena dei culti sarebbero state le due ministre Iv: Teresa Bellanova ed Elena Bonetti. Non si hanno notizie circostanziate sull’atteggiamento di M5S, il cui capodelegazione nel governo rimane Luigi Di Maio. Il pentastellato più “alto in grado” nell’esecutivo è però sempre il premier Giuseppe Conte: al quale l’esito del confronto deve essere pesato non poco, vista anche la performance comunicativa di domenica sera. Ma neppure lui, evidentemente, ha potuto – o voluto – ingaggiare un braccio di ferro: certamente con un Pd molto determinati, con uno Speranza reso cauto anche dal suo ruolo; con ministri M5S probabilmente poco disposti a schierarsi con il premier su questo dossier e con la componente renziana ancora una volta in dissenso tattico.
E’ stato così, comunque, che un premier sostenuto in misura decisiva dalla Santa Sede a fianco del presidente americano Donald Trump in occasione del ribaltone dello scorso agosto, è finito nel mirino di un attacco senza precedenti dei vescovi italiani. Resta il fatto che la miccia è stata accesa dal Pd: se non intenzionalmente, quanto meno preventivamente. Una mossa tutt’altro che scontata è giunta da un politico che proveniente dalle fila del Ppi e quindi della Margherita, la componente cattolico-democratica confluita in quello che è stato per un decennio il partito del centrosinistra unificato. Perché Franceschini – solerte nel riaprire le librerie ancora dopo Pasqua – ha frenato invece sulla riapertura delle chiese? Davvero sono stati decisivi i timori specifici degli esperti, sull’età relativamente anziana di molti fedeli e sui rischi-assembramento già manifestatisi al Sud?
Una lettura politica – opinabile e in ogni caso non esclusiva – spinge a immaginare che il Pd abbia voluto frenare in realtà il premier e la sua traiettoria politica già apertamente avviata come candidato leader di un “nuovo partito dei cattolici”. E’ un incubatore politico che certamente si ripromette di richiamare quote di voti M5S dalla loro “libera uscita populista e antagonista” (ed è verosimile che questo sia guardato con sospetto anzitutto all’interno di una formazione in forte crisi come lo stesso M5S). Ma è anche vero che le forze del laicato cattolico più attive, negli ultimi mesi, attorno al “cantiere Conte” hanno avuto finora come punto di riferimento politico-elettorale proprio il Pd.
Che ne sarebbe stato della “battaglia dell’Emilia-Romagna”, lo scorso gennaio, se la forza trainante del Pd “prodiano” avesse dovuto fare i conti con un “partito Conte” nel fronteggiare l’avanzata della Lega? Già nel 2013 il Pd di Pierluigi Bersani finì per “non vincere” le elezioni perché il 10% dei voti moderati (fra cui molto voti cattolici) fu drenato da Scelta Civica, capeggiata da un Mario Monti tutt’altro che malvisto da Santa Sede e Cei?
Nel frattempo, il “progetto Conte” (che avrebbe dovuto materializzarsi al grande convegno di Assisi, rinviato per l’epidemia) ha finito per favorire la strumentalizzazione politica della “querelle della messa”: ben prima che la Cei – rispettosa per settimane delle decisioni del governo – esprimesse la sua protesta. Il lungo lockdown – stabilito con provvedimenti personali da Conte – è stato criticato fin dall’inizio dalle stesse forze e figure del laicato cattolico italiano al lavoro sul “progetto Conte”. E’ stato così che, prolungandosi la chiusura, alle soglie di Pasqua, il leader della Lega, Matteo Salvini, con tatticismo spregiudicata, ha chiesto a gran voce la riapertura delle chiese. Non ha sorpreso nessuno – anzi – che i vertici della Cei abbiano duramente diffidato Salvini dallo strumentalizzare la questione, rilanciando atteggiamenti di controversa religiosità popolare. Ma – come nell’ultimo fine settimana – non sono stati i vescovi italiani a creare un caso. Che invece è stato creato in sede politica, anzi: nella maggioranza del governo Conte, per il ruolo politicamente ambiguo del premier.