Caro direttore,
ora basta. Il vaso è colmo. Abbiamo avuto troppa, esagerata pazienza. Responsabilità, per alcuni, arrendevolezza per altri. Comunque dopo due mesi di supermercati aperti, e di chiese vuote, arriva finalmente l’allentamento delle misure restrittive per la pandemia. Quando in Spagna, più devastati di noi, portano i bimbi all’asilo, qui ancora si tratta e si prendono pesci in faccia per ragionare se e quando i cristiani possano partecipare all’Eucarestia.



Abbiamo visto la polizia interrompere le celebrazioni, a Cremona e non solo. Abbiamo visto ergersi a difesa dei suoi preti il vescovo francese Aupetit, che ringraziamo per il coraggio. Abbiamo visto da noi a Milano celebrare la messa laica del 25 aprile con un publico distanziato a dovere, e non è permesso celebre la Messa neanche all’aperto, o con un piccolo gruppo di fedeli, con mascherine e guanti.



Il Papa è stato sempre chiaro, sempre. Ieri il suo elemosiniere, agente speciale per le imprese di sfondamento, ha telefonato al sacerdote incriminato di Cremona per esprimergli il suo (sic) sostegno. E ieri sera in 45 minuti di discorso il premier italiano ha elencato benevolmente tutte le aperture decise e coordinate con il Comitato scientifico, che ci spiega dove e quanto possiamo correre, ci lascia vedere una tantum i nostri nipoti (“sappiamo quanto soffrano le famiglie a stare divise!”), ci lascia correre, che magari ci sfianchiamo e non alziamo la voce, dichiara roboando l’arrivo di una pioggia di soldi, chiede scusa per i ritardi, ci permette perfino di seppellire con una preghiera i nostri morti. Stop. La scienza ha stabilito che l’Eucarestia non è essenziale per vivere. Il cibo da asporto sì, la Comunione da asporto no. Cosa deve ancora accadere perché prendiamo coraggio e spingiamo i nostri parroci a  tirar fuori tavolini ad uso altare, sui sagrati, nelle piazze, e chiamare a raccolta un popolo per pregare e ricevere il pane che dà vita? La disobbedienza civile vale a motivazioni alterne?



Poco dopo le parole a reti unificate di Conte arriva il comunicato dei vescovi italiani, finalmente: spiegano che hanno parlato, discusso, ascoltato, chiesto. Ma “arbitrariamente” si è “esclusa la possibilità di celebrare la messa col popolo”.  Si è disattesa “la pienezza dell’autonomia” della Chiesa. E “non si può accettare di veder compromesso l’esercizio della libertà di culto”.

A ciascuno il suo: “il comitato tecnico-scientifico dia indicazioni precise di carattere sanitario, la Chiesa organizzi la vita della comunità cristiana”. Basta soprusi. Basta basso profilo, tono minore. Ci sono tempi in cui è urgente e necessario dire, finché ci sarà dato, che quel che abbiamo di più caro è Cristo, unum necessarium. Abbiamo l’esempio audace dei martiri, di questo tempo, non solo di quello passato. Abbiamo il ricordo degli operai di Danzica, i perseguitati nei paesi comunisti (anche nella Cina di oggi, sottolineiamo). Non fingiamo di onorarli sugli altari, se quando siamo chiamati a rispondere pieghiamo il capo per pavidità. C’era don Abbondio e c’era fra Cristoforo, e don Rodrigo era ben più pericoloso di Conte.

Tra limitazioni delle libertà individuali col dubbio sempre più diffuso che siano servite davvero e non siano state la manna inaspettata per proseguire un’esperienza di governo fiacca e inadeguata alle circostanze, la privazione della libertà religiosa è la più odiosa. Nessuno potrà dirci ciò che vale di più per noi, perfino più della salute.

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