La trasmissione Storie Italiane è tornata ad occuparsi del triste caso di Celeste Palmieri, la donna di San Severo uccisa dal marito Mario Furio con una serie di colpi di pistola sparati nel cortile di un supermercato che si è scoperto essere il triste epilogo di una lunga serie di violenze domestiche che avevano già portato all’allontanamento dell’uomo condannato anche ad indossare la cavigliera elettronica: presente in studio la migliore amica di Celeste Palmieri che ha proprio parlato delle violenze subite dalla vittima, puntando – giustamente – il dito contro le istituzioni che non sono state capaci a tutelare una donna già soggetta ad un ‘codice rosso rafforzato‘.



Parlando dal loro rapporto, l’amica di Celeste Palmieri ricorda che si conobbero “una decina di anni fa, ero catechista della figlia” e scoprì praticamente subito le violenze per bocca della stessa bambina: “Quando ho chiesto a Celeste – ricorda – lei si è aperta subito e ha parlato di tutto di più”, raccontando di “maltrattamenti che erano iniziati parecchi anni prima e andavano avanti”; confermando peraltro che “lo denunciò una prima volta 10 anni fa”, tanto che “scappò anche a Milano, ma lui la raggiunse”.



L’amica di Celeste Palmieri: “I maltrattamenti andavano avanti da anni, nessuno l’ha aiutata”

Soffermandosi sulla fuga di Celeste Palmieri, l’amica ha ricordato che proprio in quell’occasione, a Milano “aveva già provato ad ucciderla una prima volta“, mettendo in scena una finta rapina che sarebbe dovuta finire male: “Era un bravissimo stalker – spiega ancora soffermandosi su Mario Furio – e riusciva sempre a farla sentire in colpa” ed era solito dirle “che non l’avrebbe uccisa il tumore, ma lui stesso”; e seppur lei “non si aspettava di morire quel giorno, sapeva che non l’avrebbe fermo un braccialetto elettronico, neppure le catene l’avrebbero fermato”.



“Celeste Palmieri – continua l’amica che si dice “molto arrabbiata” per l’accaduto – era un codice rosso rafforzato” e seppur “dentro avesse l’inferno, la morte… aveva sempre il sorriso”: secondo l’amica dietro a questa vicenda ci sarebbe la prova chiara che “il sistema non funziona, lei aspettava l’ennesima udienza ma un giudice gli aveva permesso di starle a 150 metri di distanza” chiedendo misure alternative alla “casa protetta [che aveva rifiutato] perché non poteva e non voleva allontanarsi dalla sua famiglia” che non le sarebbero mai arrivate “i servizi sociali – conclude – non l’hanno mai aiutata“.