L’uso prolungato del cellulare può causare un tumore alla testa. Lo ha stabilito la Corte di appello di Torino confermando la sentenza del giudice Luca Fadda, che nell’aprile 2017 aveva condannato l’Inail a riconoscere una rendita da malattia professionale a Roberto Romeo, ex tecnico della Telecom per l’uso “abnorme” del telefonino, dovuto al suo lavoro, nel periodo compreso tra il 1995 e il 2010. Una sentenza, quella della corte torinese, destinata a riaccendere il dibattito sulla presunta correlazione tra l’aumento di neoplasie legato all’uso dei telefoni. La scorsa estate un rapporto curato da Istituto Superiore di Sanità, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea non ha dato conferme in questo senso, ma il collegio nelle motivazioni del pronunciamento emesso lo scorso 3 dicembre ribadisce i sospetti sull’imparzialità di alcuni studi “tranquillizzanti”: “Buona parte della letteratura scientifica che esclude la cancerogenicità dell’esposizione a radiofrequenze (…) versa in posizione di conflitto d’interessi, peraltro non sempre dichiarato”.



USO CELLULARE PUO’ CAUSARE TUMORE

Nelle 36 pagine di motivazioni, i giudici della sezione Lavoro Rita Mancuso, Caterina Baisi e Silvia Casarino, sostengono che i consulenti Carolina Marino e Angelo D’Errico, nominati per rianalizzare il materiale probatorio già soppesato dal ctu del giudice di Ivrea, Maurizio Crosignani, hanno fornito “solidi elementi per affermare un ruolo causale tra l’esposizione dell’appellato alle radiofrequenze da telefono cellulare e la malattia insorta“. Come riportato da Il Fatto Quotidiano, secondo i giudici “esiste una legge scientifica di copertura che supporta l’affermazione del nesso causale secondo criteri probabilistici ‘più probabile che non’“. E nel “caso specifico in esame” è “dato ritenere che” con “criterio di elevata probabilità logica” si possa “ammettere un nesso eziologico tra la prolungata e cospicua esposizione lavorativa a radiofrequenza emesse da telefono cellulare e la malattia denunciata” da Romeo all’Inail. Roberto Romeo all’epoca dei fatti da tecnico della Telecom trascorreva per lavoro tra le 2 e le 7 ore al giorno al cellulare: calcolando una media di 4 ore al giorno, l’uomo ha passato al cellulare 840 ore all’anno, per un “tempo stimato complessivo (…) nell’intervallo di 15 anni intercorso tra il 1995 e il 2010 pari a 12.600 ore“. La Corte ha inoltre sottolineato come all’epoca non esistessero strumenti quali auricolari o cuffiette per evitare il contatto del cellulare con il viso. Anni dopo, Romeo ha sviluppato un neurinoma all’orecchio destro, ovvero il lato dov’era solito tenere il telefono.



USO CELLULARE PUO’ CAUSARE TUMORE: CRITICHE ALLA LETTERATURA SCIENTIFICA DAI GIUDICI

Uno degli aspetti più importanti della sentenza di Torino, a suo modo storica anche perché mai prima un lavoratore ha ottenuto due sentenze di merito favorevoli in casi simili (e la domanda di indennizzo da parte di Romeo nel corso del 2019 è stata accolta anche dal Tribunale di Monza) riguarda senza dubbio la letteratura scientifica. Critiche sono state rivolte anche allo studio pubblicato in estate dall’Istituto Superiore di Sanità, accusato di aver usato “in modo inappropriato i dati sull’andamento dell’incidenza dei tumori cerebrali” e di non tenere conto “dei recenti studi sperimentali su animali“. La ricerca dell’ISS, inoltre non ha “diramato raccomandazioni più stringenti sui limiti di esposizione a radiofrequenze, in particolare per bambini e adolescenti“, nonostante si dichiari incerto sugli effetti associati in quell’età ad un uso intenso. La Corte d’Appello ritiene perciò che “l’indagine, e le conclusioni, di autori indipendenti diano maggiori garanzie di attendibilità rispetto a quelle commissionate, gestite o finanziate almeno in parte, da soggetti interessati all’esito degli studi“.

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