Nel proposito di penalizzare i medici che certificano la verginità di una ragazza, il ministro degli Interni francese Gérald Darmanin intende scendere in campo per la liberazione della donna contro una prassi che la offende profondamente. La lettera di protesta firmata da un gruppo di primari dei maggiori ospedali di Francia lo contesta, dichiarando invece che la certificazione di verginità fa parte integrante di quel delicato rapporto di comunicazione tra medico e paziente che costituisce il livello più immediato di incontro tra la competenza scientifica di chi sa e le esigenze di riassicurazione e di protezione di chi, per posizione sociale e imprinting famigliare, vive in un’enclave sociale e culturale dalla quale non saprebbe liberarsi senza problemi né dolorose fratture.
Non si può evitare di rilevare come una tale polemica sia a “doppio fondo”. Il problema infatti non è tanto quello di decidere se la donna sia maggiormente difesa vietando il rilascio di un “certificato di verginità”, oppure se lo sia attraverso una comunicazione con professionisti che la mettano in contatto con un universo scientifico e culturale dal quale sarebbe esclusa. Il problema non è nemmeno quello dell’autonomia delle culture e quindi del diritto di queste alla difesa del proprio universo normativo, anche quando si tratta di invadere la sfera personale dei singoli, facendo prevalere l’appartenenza religioso-culturale sulla cittadinanza civile ed arrivando così a togliere al singolo quei diritti che lo Stato gli ha invece riconosciuto.
Il vero problema di fondo è quello del fascino esercitato dalla religione islamica in Occidente e, in particolar modo in paesi come la Francia, dentro e fuori dalle comunità islamiche, dentro e fuori dai gruppi degli immigrati della seconda generazione. La religione islamica, per quanto differenziata al suo interno, si traduce in una serie precisa di pratiche e di norme di comportamento che regolano tutti gli aspetti della vita individuale e sociale. Per tale strada, come è noto, si scontra profondamente con la laicità identitaria della Repubblica francese. Proprio per questo la domanda essenziale, in questa prospettiva, è quella che si chiede perché una tale presenza si manifesti oggi, in maniera così dirompente.
Per decenni lo sviluppo economico e la “légèreté” crescente dei costumi e degli stili di vita hanno messo all’angolo tutti i principi normativi ed i riferimenti rigoristi provenienti dalle culture, di qualsiasi matrice. Tuttavia la fine degli anni settanta del secolo scorso, segnata dal divampare della rivoluzione islamica, non ha mancato di porre le premesse, tra le comunità islamiche in Occidente, di una rivendicazione identitaria che si è fatta tanto più forte e coesa quanto più quest’ultimo, scosso dalle crisi economiche, ha visto appannarsi sempre di più l’immagine di società fiorente, dove i progetti dei singoli trovavano il terreno per la loro realizzazione.
Ma sarebbe ancora troppo semplice fermarsi ad una tale dinamica puramente economica. In realtà la cultura ostentata dall’élite dirigente non si è solo arenata sul molo delle crisi economiche, ma si è anche dissipata e dissolta nella proliferazione dei diritti individuali. Infatti se da un lato la pretesa dello Stato laico di dettare le regole dei confini alle singole culture è apparsa tanto più illegittima quanto più è cresciuta la sua insolvenza nell’assicurare la realizzazione professionale dei singoli e il benessere per tutti, essa è anche apparsa tanto più inaccettabile quanto più questo stesso Stato è sembrato sottrarsi ad ogni principio morale, legittimando livelli sempre meno accettabili di libertà individuale.
Non è un caso che tale conflitto si sia sviluppato in un paese come la Francia, che nel principio della libertà del singolo ha riconosciuto, sotto le pressioni di un’élite tanto minoritaria quanto pervasiva ed influente, il diritto alla maternità assistita, quello all’utero in affitto e quello all’aborto sempre più fuori controllo, decretando così, de facto e di volta in volta, la messa tra parentesi delle figure del padre, della madre e la cancellazione della vita nascente in nome dei diritti gender.
In questi due declini paralleli: quello, funzionale, della prospettiva economica, ma anche e soprattutto quello culturale dell’identità genitoriale, si sta manifestando la dissoluzione morale di intere regioni di un Paese – in particolare nelle aree metropolitane e nell’élite che le governa – che non presenta né propone alcunché che non siano i diritti del singolo. Non è solo la dignità della donna minacciata dall’integralismo islamico ad essere a rischio. Dietro a questa, nel silenzio del politicamente corretto, è il legame genitoriale ad essere messo ai margini, scavalcato dal primato dei diritti soggettivi.
E non si tratta nemmeno del solo problema di etica genitoriale. Dietro a questo e sopra di questo c’è la dissoluzione sociologica di un ambiente fatto di legami fondativi, e quando ciò accade, non restano che le strutture funzionali, le reti metropolitane, la panoplia di servizi efficienti. Una simile società metropolitana può attrarre gli operatori economici ed i professionisti di ogni settore, ma non presenta più un terreno socio-culturale nel quale integrarsi. Dietro ad un tale degrado sono intere aree metropolitane che rischiano di scivolare, più o meno rapidamente, in un “non luogo”, dove se c’è spazio per i singoli e per i loro progetti individuali o di coppia, ce ne è sempre meno per fondare il tessuto connettivo dell’intera popolazione.
Emerge così, in piena luce, il conflitto che oppone la Francia, come tante altre aree dell’Occidente, alle rivendicazioni identitarie di una religione, l’islam che, al contrario, fa dei propri principi normativi e della loro ostentazione un elemento inaggirabile e non negoziabile.
Per quanto ci appaia lontano, l’islam si manifesta sempre di più come una società del legame sociale, dove il singolo vive in una comunità che lo avvolge e lo attraversa e per la quale questi è disposto tranquillamente ad ottemperare anche alle richieste più invadenti, inclusa quella di un certificato di verginità. Una tale rivendicazione culturale appare tanto più invadente quanto più l’élite dominante occidentale sembra dissolversi nei diritti individuali, approdando così alla costruzione di una società senza legami, né memoria culturale di ciò che la sostanzia.