Quanto costa lasciare che i laureati emigrino? Due miliardi, almeno per il 2021, afferma Eurofond in una sua recente ricerca.

La fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofond, per l’appunto) ha costruito la stima tenendo conto di tre componenti. La prima è il costo per la formazione sostenuto dalla finanza pubblica, che per una laurea almeno triennale è di circa 144 mila euro. La seconda componente è l’incasso medio annuo delle finanze pubbliche proveniente dal pagamento di vari contributi per la coorte 25-34enne che ha una laurea triennale e la terza componente è il mancato incasso delle tasse sui redditi per la stessa classe di età. Complessivamente si tratta di circa altri 17.000 euro non incassati dallo Stato per ogni giovane che emigra.



Dato che nel 2021 sono stati circa 14.379 gli emigrati con almeno una laurea triennale il costo totale è di 2,2 miliardi. Certo qualcuno anche immigra in Italia, ma il saldo è negativo. I Paesi che invece incamerano più giovani con titoli di studio alto, almeno nel 2022, erano Austria, Germania, Irlanda, Belgio, ma anche la Spagna fa parte del gruppo a saldi positivi. Insomma, i Paesi attrattivi non pagano le spese di formazione e incassano tasse sui redditi e contributi. Nel corso di un decennio il rapporto stima che la perdita in costi dell’Italia si aggiri attorno ai 10 miliardi di euro.



Gli autori del lavoro si soffermano poi sulle politiche per il “rientro dei cervelli” e analizzano alcuni casi fra cui quello italiano, con la misura nazionale del “rientro dei cervelli”, e di alcune misure regionali. La misura nazionale può essere riassunta come un periodo più o meno lungo di riduzione delle imposte sui redditi per chi rientra al lavoro in Italia, che dipende dalla regione, dai titoli di studio o accademici e dalla composizione del nucleo familiare. Anche le iniziative regionali sono rivolte alla riduzione dei costi di rientro o di formazione all’estero con un sostanziale patto di ritorno.



Le conclusioni che vengono tratte sulle politiche di rientro in Italia mostrano che vi sono due gruppi di beneficiari: i laureati si accontentano dei benefici fiscali connessi al rientro, mentre il personale accademico valuta con maggiore attenzione le possibilità effettive di carriera e ricerca. Insomma, bisognerebbe andare al di là della riduzione fiscale e rimettere in moto l’ascensore sociale, cosa più facile a dirsi che a farsi, visto che si tratta di intaccare chiusure corporative consolidate.

In generale le azioni di miglioramento del mercato del lavoro e dell’innovazione tecnologica potrebbero di fatto attrarre italiani al ritorno o laureati di altri Paesi a stabilirsi in Italia, che offre generalmente condizioni di vita buone, ma condizioni di lavoro non altrettanto buone.

Il rapporto conclude, esaminando altri indicatori, che il processo di convergenza delle economie europee è facilitato dalla crescita del capitale umano, e che il processo di convergenza in senso generale sta migliorando, vale a dire le disuguaglianze tra Paesi si vanno riducendo. Con un nota bene: non per tutti i Paesi e non per tutti gli indicatori, ma gli investimenti in capitale umano hanno un alto ritorno nel lungo periodo, se non te li lasci scappare via.

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