Un cervello cyborg ha imparato a giocare a Pong, storico videogioco di Atari: la notizia, che sembra applicata alla realtà direttamente da un film di fantascienza, ha dell’incredibile ed è stata riportata da “New Scientist”, secondo cui un gruppo di 800mila neuroni umani coltivati in provetta e collegati a un microelettrodo è stato ammaestrato dagli scienziati della startup “Cortical Labs”, riuscendo a intercettare la pallina del videogame. Ma com’è stato possibile centrare un simile risultato, difficile anche soltanto da immaginare?
Come riportato da Brett Kagan, coordinatore del progetto, “i mini-cervelli non sanno giocare bene come un essere umano, ma imparano più velocemente di alcune intelligenze artificiali. L’aspetto più sorprendente è difatti quanto siano veloci a imparare: lo fanno quasi in tempo reale. È una proprietà straordinaria, che ci mostra tutte le potenzialità dei sistemi biologici”. Così, grazie a queste proprietà uniche, il team di Cortical Labs ha dapprima semplificato il videogame di Pong, creandone una versione priva di avversari. Dopodiché, è stato trasmesso un segnale al cervello cyborg, indicandogli se la pallina fosse a destra o a sinistra e questo, grazie a un impulso inviato dai neuroni all’elettrodo, è stato in grado di muovere la racchetta per colpire la pallina.
CERVELLO CYBORG GIOCA A PONG: I PRECEDENTI DEI CERVELLI IN PROVETTA “VIRTUOSI”
Quella del cervello cyborg che gioca a Pong è soltanto l’ultima delle scoperte effettuate dalla scienza, come ricorda il portale “Wired”. Infatti, già nel 2019 un gruppo di esperti dell’Università della California aveva dimostrato che “gli organoidi cerebrali messi a punto in laboratorio, composti da cellule staminali pluripotenti e un milione di volte più piccoli di un vero cervello umano, erano in grado di stabilire connessioni tra loro e di produrre onde cerebrali molto simili a quelle dell’encefalo di un bambino prematuro”.
I ricercatori dell’Università di Cambridge, invece, erano incredibilmente riusciti a coltivare un mini-cervello in provetta capace di collegarsi in maniera del tutto autonoma al midollo spinale e al tessuto muscolare, effettuando un importante passo in avanti per una migliore comprensione di disturbi come la malattia del motoneurone, l’epilessia e la schizofrenia.