Per noi, baby boomer, nostalgici di una certa età che abbiamo vissuto l’epopea dello storico cantautorato, che resiste con gli ultimi sopravvissuti, ormai tutti intenti ad autocelebrarsi in tournée riassuntive, aggrappati a una vita artistica che ha già dato il proprio meglio, l’uscita del nuovo album di Cesare Cremonini, “Alaska Baby” può considerarsi una boccata d’aria fresca.
Certo, il ritorno a quelle atmosfere dei novecenteschi ’70/’80, vivacemente in bilico fra i traumi esistenziali (Il personale è politico? Boh!) e le grandi canzoni d’amore proletarie e universali (in un covo delle BR trovarono una raccolta di album di Lucio Battisti), nell’era della trap e dell’elettronica è cosa ormai impossibile, ma c’è ancora qualcuno che riconosce nel loro catalogo discografico le radici pop (popolari, per intenderci) di quella particolare esperienza italiana: i nomi sono veramente pochi e fra questi c’è sicuramente quello di Cesare Cremonini.
“Alaska Baby” è la lussureggiante conferma di un percorso di cantautorato “d’autore” spinto da un “ego” decisamente pronunciato che, con “La teoria dei colori” del 2012, già in maniera sorprendente tracciava la strada del pop di classifica di un certo spessore che costringeva l’ex frontman dei Lunapop a scendere definitivamente dalla “50 Special” e intraprendere un percorso umano e artistico in cammino verso la maturità creativa.
Un percorso che in questi anni ha avuto tappe significative di riflessione di fronte alla realtà del quotidiano.
Come non ricordare “Nessuno vuole essere Robin”, brano tratto da “Possibili scenari”, album del 2018: una canzone sulla condizione di fragilità dell’umano, che così l’autore introduceva: “È il pezzo più attuale, uno dei pochi in cui il protagonista sono io. Finita la partita il giocatore si ubriaca, scopa in giro e finisce lì. Chi perde, invece, passa la settimana a macerarsi. Io ho provato il successo, l’ho perso e l’ho ritrovato: amo la figura del perdente. Soltanto che oggi nessuno ammette di non farcela, siamo tutti dei piccoli Robin, travestiti da Batman”.
Qualche anno più tardi, pensato in piena pandemia e pubblicato nel 2022, risentendo delle contingenze sociali, Cremonini pubblica “La ragazza del futuro”, in cui il brano più intenso è “MoonWalk”: “MoonWalk parla proprio di mio padre. È una canzone piena di commozione, molto personale e profonda. Narra dei dialoghi tra me e mio padre pochi mesi prima che mi lasciasse. Ho avuto la fortuna di vivere questo evento drammatico in modo completo accanto a lui, giorno per giorno, quando i rituali e le dinamiche quotidiane dell’essere anziani diventano, straordinariamente, occasione di grande intimità. È una canzone sulla vita, sulla morte, sulla dolcezza e sulla dignità”.
Come si intuisce, Cremonini vive un work in progress umano e artistico, testimoniato anche da un incontro pubblico, nel 2021, durante la presentazione di un suo libro autobiografico, con l’arcivescovo di Bologna, il cardinal Zuppi.
Ecco… appunto… Bologna.
Pur cantando spesso il viaggio, come desiderio curioso e condizione umana, è nella sua città natale che Cremonini scopre sempre di più le sue origini, sia artistiche, soprattutto richiamandosi e ispirandosi alla figura di Lucio Dalla, sia ai luoghi della sua storia civile.
Ed eccoci, finalmente, a “San Luca”, per molti commentatori il brano più rappresentativo del nuovo album.
Ma prima di parlarne, è bene soffermarci sul lavoro discografico tutt’intero, in cui c’è la conferma dell’ulteriore qualità creativa delle composizioni, con un sound dall’impronta internazionale, saldamente ancorato al pop italico più sofisticato.
Una perfetta osmosi tra i testi che raccontano storie e sentimenti in un modo mai banale e i “paesaggi musicali” di sorprendente varietà che attraversano, via via, atmosfere beatlesiane, il fulminante funkettino, in rampa di lancio come prossimo tormentone estivo, la ballata mediterranea sostenuta da archi e fiati, la punteggiatura ritmica alla “Coldplay”. Il tutto miscelato con certosina attenzione negli arrangiamenti, mai scontati, una impressionante opera di cesello, con richiami al Dalla più rilassato e, per quanto riguarda l’uso caldo dei cori alle produzioni londinesi degli ultimi album della coppia Mogol/Battisti, d’altronde proprio a Londra l’album è stato registrato e anche presso i Mille Galassie Studios di Bologna con l’aiuto del fido Davide Petrella e collaboratori prestigiosi tra i quali Mike Garson lo storico tastierista di David Bowie. Tutto gestito con la solita sfrontatezza, sicuro delle proprie capacità e dell’esito discografico: dote rara fra le nuove generazioni di cantautori (dopotutto Cremonini oggi è “appena” un quarantaquattrenne!).
E non mancano i duetti: con Elisa (in “Aurore boreali”) e con Luca Carboni in quel piccolo gioiello che è “San Luca”: “Avevo tra le mani da un po’ di tempo questa canzone che parla di un aspetto molto intimo della mia città, ne ero orgoglioso ma allo stesso tempo non capivo quale fosse il suo vero ruolo all’interno di un album che stava per chiamarsi “Alaska Baby”. Soprattutto avevo la sensazione che fosse molto commovente per me e i bolognesi per la sua anima popolare”.
Cremonini, quindi ha rotto gli indugi e ha lasciato che questa canzone dedicata al santuario situato sul Colle della Guardia a ridosso di Bologna vivesse di luce propria:
“Proprio oggi che era uscito il sole
Mentre gli altri se ne vanno al mare
Voglio stare da solo
Così magari mi trovo (…)
Sì, capita anche a te
Di non volere più aspettare la felicità
Proprio come me”.
E Carboni risponde:
“Io non la so fare una preghiera
Chiedo solo quello che si avvera
Così sono sicuro
Non ci perde nessuno, qui
Siamo tutti figli della luna
Guardiamo la Madonna di San Luca
Quando brilla nel buio
E poi pensiamo al futuro”.
E poi, insieme:
“Sì, capita anche a te
Di continuare ad aspettare i suoi miracoli
Io come te non li so fare
Ma poi è bellissimo sperare che non sia tutto qui, sì
Capita anche a te
La felicità
Proprio come me
Non lo dici ma
Capita anche a te”.
E il miracolo è avvenuto, quello dell’amicizia: dopo un lungo tempo di silenzio dovuto ad importanti problemi di salute, Luca Carboni ha ripreso a cantare, raccogliendo l’invito di Cremonini proprio con questa canzone che travalica la sofferenza e si affida a una figura che misteriosamente ti richiama a una ricercata felicità.
C’è una solitudine che si spezza nel gesto accogliente di un amico: “Per lui tornare a usare la voce era un passaggio umano non banale, importantissimo. Marina, sua moglie, aveva gli occhi gonfi, allora io mi sono spostato di lato. (…) Questa cosa ha dato a questa canzone un’importanza, una verità che mi ha arricchito molto più di quanto questo disco possa fare vendendo un miliardo di copie”.
È il miracolo di quando si guarda la Madonna di San Luca che brilla nel buio.
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