Dopo pochi giorni da quel criptico e commosso post sui social per raccontare il Natale che verrà («sobrio, non infelice, nell’attesa di Gesù»), Cesare Cremonini si racconta nel profondo con Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera: in attesa della ripresa dei concerti dal vivo, tra un racconto del passato familiare e un’attesa per il possibile prossimo matrimonio con la sua bella Martina, è il disvelamento di quello che finora aveva sempre solo “accennato” nelle sue canzoni. «C’è una canzone, “Nessuno vuol essere Robin”, per la quale ho rischiato la vita. Come mi disse lo psichiatra: una pallottola mi ha sfiorato». Nel testo tra i più belli e profondi dell’opera solitamente più gaia e scherzosa della prosa di Cremonini, l’ex Lunapop scrive «Fammi un’altra domanda, che non riesco a parlare…»: si trattava di quella definita al CorSera «una prima ammissione». Cesare racconta di essere affetto da schizofrenia, e qui non scherza per nulla: «andai dallo psichiatra per accompagnare un’altra persona. Poi gli raccontai di me, di quel che provavo. I sintomi crescenti». La sensazione di avere «un mostro premere contro il petto, salire alla gola. Mi pareva quasi di vederlo». La diagnosi era schizofrenia, nel pieno della sua carriera post-Lunapop: «Percepita dalla vittima come un’allucinazione che viene dall’interno. Un essere deforme che si aggira nel subconscio come se fosse casa sua».



CESARE CREMONINI E LA MALATTIA

Ossessione per la musica, sempre chiuso in studio e con una “dieta” tutt’altro che salute (due-tre pizze al giorno tra pranzo e cena): «Superai i cento chili. Non facevo più l’amore, se non da ubriaco. Avevo smesso qualsiasi attività fisica. Lo psichiatra mi chiese cosa mi faceva sentire meglio. Risposi: camminare. Non lavorare; il lavoro era la causa. La cura era camminare». Ha preso ovviamente anche delle cure farmacologiche ma leggere: Cesare Cremonini racconta di aver soprattutto camminato per centinaia di chilometri, «Ho scoperto i sentieri di collina. E mi sono ribellato all’eccesso di attenzione per tutto quel che proviamo, all’idea impossibile di poter esprimere ogni cosa, di comunicare questa slavina di emozioni da cui siamo colpito». Quel “mostro” c’è ancora, non è stato sconfitto del tutto: «Quando sento il mostro borbottare, mi rimetto in cammino. Su una collina, in montagna. Sono tornato dallo psichiatra alla fine del primo tour negli stadi. Mi ha chiesto se vedevo ancora i mostri. Gli ho risposto di no, ma che ogni tanto li sento chiacchierare. E lui: “Let them talk”». Dopo l’operazione alle corde vocali, lo ha aiutato molto Eros Ramazzotti a riprendersi senza troppe ansie («ci era passato prima di me. Quasi un fratello maggiore») ora l’attesa per il futuro musicale e non: «parlo della morte nelle mie canzoni, Me lo fece notare Red Ronnie: “Ma tu che parli di morte, chi ti credi di essere? Sei così giovane. Devi pensare alla vita, no?”. Io gli risposi che solo un idiota non pensa mai alla morte. Mio padre ha avuto un tumore alla vescica, un altro ai polmoni, e un ictus mentre eravamo a cena insieme: lo portai in ospedale, fu operato nella notte, lo salvarono. Nei suoi ultimi giorni mi ha insegnato molto, mi ha mostrato cos’è la dignità: era a pezzi, ma sempre pettinato, le unghie curate. Un ordine mentale». Uno sguardo al passato e uno a quello che verrà, come spiega Cremonini nella chiosa all’intervista sul Corriere: «sto trasformando la cultura che ho ricevuto, l’idea infantile e fiabesca del Paradiso, in qualcosa di più razionale. Forse possiamo davvero trasformarci, di vita in vita, verso altre esperienze. Prima o poi la fisica quantistica, che è la nuova poesia, ci spiegherà come e dove; e quello sarà il nostro paradiso».

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