Cesare Pavese che si dimostra indulgente con il fascismo, con il Duce Benito Mussolini e addirittura “giustifica” alcuni eccidi nazisti: un lato nascosto e segreto del poeta emerge nel 2020 con l’uscita del volume “Il taccuino segreto” in cui sono raccogli gli appunti scritti tra il 1942 e il 1943 quando era rifugiato sulle alture della campagna piemontese, prima a Serralunga di Crea poi al Collegio Trevisio di Casale Monferrato, in fuga dai repubblichini fascisti. Due anni dopo il grande poeta morto suicida nel 1950 si iscrisse al Partito Comunista e divenne uno dei massimi pensatori anti-fascisti dell’epoca: ma quel “bloc-notes” di una trentina di pagine – oggi raccontato dall’articolo di Luigi Mascheroni sul “Giornale” – resta un mistero rimasto intatto fino ad oggi, dopo che sparì letteralmente nel nulla nel 1962 dopo che il giornalista Lorenzo Mondo (che trovò il taccuino tra le carte di Pavese a casa della sorella Maria, ndr) lo consegnò a Italo Calvino per farne delle fotocopie negli uffici dell’Einaudi. Quelle annotazioni non furono mai pubblicate ma sono una vera “bomba” contro l’intellighenzia anti-fascista e fu lo stesso Mondo a pubblicarne parte su La Stampa nell’ormai lontano 8 agosto 1990: scrive Mascheroni, «Lui, antifascista e poi iscritto al Pci, in quei foglietti si lancia in invettive contro gli antifascisti e la loro stupidità, riflette sul fascismo come disciplina di vita utile agli italiani (il fascismo che ha il grande merito di dare al popolo italiano una vera visione dello Stato), parla con tono indulgente di Mussolini e della Repubblica di Salò».
IL TACCUINO “SCOMODO” DI CESARE PAVESE
Lo scomodo taccuino, considerato come indigesto e forse anche falso dagli “ex-amici” di Cesare Pavese – come Fernanda Pivano, che scrisse sul Manifesto «Io l’ho sempre idealizzato come un antifascista puro. Leggere questo taccuino mi fa sentire come se mi avessero pugnalato alla schiena» – è rimasto non pubblicato fino ad oggi, quando un altro editore decide con coraggio di pubblicare il volumetto con tutti i pensieri politici del grande poeta morto a Torino nel 1950. Secondo chi quel taccuino l’ha letto, ne emerge non tanto un profilo delineato totalmente “pro” o “contro” gli estremismi dell’epoca, ma solo un Cesare Pavese più “sfumato” e con assai meno chiari i valori militanti da seguire. «Pavese è persuaso che tutto sia concesso, tutto si possa perdonare al poeta: egli compie ognuno di quei gesti con una sorta di purezza; ovvero, inconsapevolmente, cioè senza una coscienza politica», scrive Angelo d’Orsi nell’introduzione al volumetto “Il taccuino segreto”. Lontano dalla politica e dalle “convinzioni ferree” come invece è stato dipinto dagli anti-fascisti dopo il terribile suicidio: non fu anti ma non fu neanche fascista, e allora cosa rimane di Cesare Pavese? Forse dopo 70 anni si può (finalmente) concentrarsi sulla straordinarietà della sua poesia e umanità e mettere in secondo piano la presunta ideologia politica…