La morte di Cesare Romiti è un pezzo di storia italiana che se ne va. La sua parabola all’interno della Fiat, come storico braccio destro di Gianni Agnelli, ha scandito inevitabilmente l’evoluzione del modello economico e industriale italiano. Per importanza e influenza nel dibattito sociale e politico dello Stivale, forse solo Sergio Marchionne è stato in grado, negli anni successivi all’addio di Romiti all’azienda torinese, di eguagliarne le gesta. Eppure si può dire che Romiti non amasse particolarmente il manager col pullover. Lo si intuì da alcune battute, come quando Romiti disse: “Continuo a portare la cravatta, quella non me la tolgo di sicuro”. In occasione della fusione tra Fiat-Chrysler, Romiti commentò:”Faccio i miei auguri al Lingotto. Quando trattammo l’avvocato Agnelli e io per comprare Detroit da Lee Iacocca nel 1990 ci tirammo indietro perché i debiti della società Usa rischiavano di trascinare a fondo noi. Mi auguro che oggi i conti di Chrysler siano diversi… Ma, è ovvio, spero che tutto vada bene. È indubbio che Marchionne sia stato un ottimo negoziatore. Ma non saprei dire chi ha salvato chi tra le due società. L’avvocato Agnelli e io siamo stati accusati anche negli ultimi giorni di esserci lasciati sfuggire la Chrysler negli anni ’90. Non è vero. Rinunciammo noi ad acquistarla, dopo molte riunioni e con dispiacere. Ma allora i conti non tornavano. Noi eravamo perplessi e Umberto Agnelli era addirittura profondamente contrario: i guai di Detroit rischiavano di affondare la Fiat. Spero ora abbiano fatto bene i conti e che i numeri siano cambiati. Se non fosse così, faccio i miei auguri…”. (agg. di Dario D’Angelo)
CESARE ROMITI E’ MORTO
Cesare Romiti è morto. Lo storico manager della Fiat, della quale è stato amministratore delegato dal 1976 e presidente dal 1996 al 1998, si è spento all’età di 97 anni. Una perdita importante per ciò che “il Dottore” ha rappresentato per decenni nel mondo dell’economia italiana. L’uomo di Gianni Agnelli, il suo più fidato braccio destro, il manager romano che a Torino ha trovato la sua dimensione. Alla Fiat Romiti era arrivato su intercessione di quell’Enrico Cuccia che ne aveva notato le indubbie qualità manageriali nel corso della fusione tra Bomprini Parodi Delfino e la Snia Viscosa, facendone il nome agli Agnelli. Detto fatto, Romiti arriva a Torino nel pieno della crisi petrolifera ed è chiamato a far quadrare i conti dell’azienda. Romiti, però, a quel tempo deve condividere le scelte con Carlo De Benedetti: i due si scontrano, non sono complementari, più che altro vanno a sbattere. Quando Romiti nel 1975 viene nominato amministratore delegato per la parte finanziaria si forma di fatto un triumvirato composto dal manager romano, Umberto Agnelli e e appunto De Benedetti. Le tensioni aumentano, i caratteri spigolosi dei due lo rendono inevitabile: sarà l’Ingegnere, dopo soli 100 giorni di convivenza, a cedere le sue azioni Fiat e a dare inizio ad un conflitto con gli Agnelli mai realmente sanato.
CESARE ROMITI E’ MORTO: STORICO MANAGER FIAT
Le qualità manageriali di Romiti, del resto, sono indubitabili: con la crisi petrolifera che imperversa, nel 1976 riesce a chiudere un accordo con i libici della Lafico, la finanziaria del governo guidato dal dittatore Muammar Gheddafi. La manovra è ardita visto che l’esecutivo è inviso in primis agli Stati Uniti, ma va a buon fine con reciproca soddisfazione delle parti in quanto a profitti. L’altro momento di svolta si materializza nel 1980: con la crisi petrolifera che continua, la Fiat nella sua relazione di bilancio agli azionisti trova i capri espiatori nelle politiche economiche del governo e negli scioperi nelle fabbriche. Mediobanca, che come sottolinea Repubblica a quel tempo è “ancora impegnata in un compito di ingombrante tutela del sistema industriale italiano”, spinge con gli Agnelli perché Umberto lasci la carica di AD. Romiti diventa così un uomo solo al comando, risultando vincitore non solo alla Fiat ma anche nello scontro di idee che a suo dire paralizza l’azienda da anni. C’è proprio lui, infatti, dietro la Marcia dei quarantamila che il 14 ottobre 1980 invade Torino. I “quadri Fiat” per la prima volta manifestano chiedendo di tornare a lavorare, se la prendono con i sindacalisti che coi loro picchetti impediscono di accedere alle fabbriche poiché impegnati in un braccio di ferro durissimo che vuole evitare la messa in cassa integrazione di 23mila lavoratori. L’Italia scopre la maggioranza silenziosa della sua più grande fabbrica. Intervistato 30 anni dopo da Paolo Griseri su Repubblica, fu lo stesso Romiti a parlare di un “esito che fu quello di riportare i sindacati di allora a una situazione di normalità, superando le infiltrazioni terroristiche che stavano nella loro base“. Dopo l’addio alla Fiat, nel 1998, Romiti tenta il salto: da manager a padrone, ma non è fortunato. Guida la società finanziaria Gemina, e la società di costruzioni e ingegneria Impregilo. Nel maggio 2005 entra nel patto di sindacato degli Aeroporti di Roma. Ma due anni più tardi con i due figli verrà progressivamente estromesso prima da Gemina, quindi da Impregilo, poi da Aeroporti di Roma. Niente di paragonabile alla sua esperienza nella Fiat. Più tardi ammetterà: “Ho avuto praticamente carta bianca per venticinque anni“.