Negli ultimi mesi ha fatto discutere, in Asia e non soltanto, il rilascio nell’oceano di migliaia di tonnellate di acqua contaminata proveniente dalla centrale nucleare di Fukushima Daiichi, in Giappone, dopo l’incidente del marzo 2011. L’attività, cominciata ad agosto, dovrebbe durare circa trent’anni. Un’altra sostanza contenuta però nel terreno è il cesio radioattivo, radioelemento dannoso per la salute umana in concentrazioni inferiori rispetto al trizio contenuto nelle acque scaricate. Secondo Le Figaro, in Giappone i limiti accettati per i prodotti destinati al consumo umano sono 500 becquerel per chilogrammo (Bq/kg) per il cesio, rispetto a 10.000 Bq/l per trizio. Dunque accadrà al cesio caduto a terra nella prefettura di Fukushima dopo l’incidente? E in particolare il cesio 137, la cui radioattività viene dimezzata ogni trent’anni?



Uno studio pubblicato il 16 ottobre su Pnas (Proceedings of the American Academy of Sciences) spiega che i lavori di decontaminazione del suolo inquinato durante l’incidente, che hanno avuto il compito di rimuovere alcuni centimetri di terreno dalla superficie delle risaie e intorno alle case, hanno avuto una moderata efficacia. A livello locale l’effetto ha portato dei benefici importanti ma su scala regionale non è così. Infatti la maggior parte del suolo non è stata decontaminata. “È impossibile rimuovere tutto il cesio dal suolo”, ha spiegato Olivier Evrard, direttore della ricerca presso il CEA e coautore dell’articolo. Circa l’80% della prefettura di Fukushima è ricoperta da foreste, il che rende il terreno troppo complesso per effettuare questo tipo di operazioni.



Cesio nei laghi e nei fiumi

I ricercatori hanno misurato come il cesio, che si attacca alle particelle fini, si sia spostato dai bacini idrografici ai laghi e ai fiumi. “Secondo il modello di deflusso ed erosione del suolo utilizzato in un’area di 44 km2, si è verificata una decontaminazione che ha coperto circa il 16% del territorio studiato. E riscontriamo una riduzione dei flussi di cesio nei sedimenti dello spartiacque del 17% tra il 2014 e il 2019″ ha spiegato Rosalie Vandromme, ricercatrice del BRGM, specialista in erosione del suolo e prima autrice dell’articolo. Il costo di questa decontaminazione di 1.117 km2 di suolo, completata nel 2017. La decontaminazione della superficie è stata utile per la ripresa della coltivazione del riso nelle aree decontaminate. “La questione si pone invece per alcuni ortaggi e piante raccolti in montagna. Sono in corso degli studi per verificare se è possibile ridurre parte della radioattività di queste piante” ha spiegato Olivier Evrard.



Ma qual è la rilevanza di tale decontaminazione? La popolazione in quelle zone rappresenta il 30% di quella prima dell’incidente. “Si tratta soprattutto di anziani rientrati e di popolazioni che non vivevano in questa regione prima dell’incidente. I più giovani se ne sono andati. Hanno ricostruito le loro vite altrove”, ha aggiunto Rosalie Vandromme. “Come altri studi su Chernobyl e Fukushima, questa ricerca ci ricorda che la riduzione del cesio nei fiumi è stata molto maggiore negli anni immediatamente successivi all’incidente”, ha spiegato Jim Smith, professore di scienze ambientali presso l’Università di Portsmouth. L’articolo del Pnas specifica che il calo del cesio nei fiumi è stato del 90% tra il 2011 e il 2020. La superficie limitata del Giappone e la sua elevata densità di popolazione hanno ovviamente contribuito alla decisione presa dai governi successivi di avviare la decontaminazione della maggiore superficie possibile di suolo inquinato. I terreni non possono però essere completamente abbandonati a sé stessi perché esiste il rischio di vaporizzazione del cesio contenuto nel terreno, in caso di incendio boschivo.