La cessione di una quota in Eni è con ogni probabilità inclusa nel pacchetto di privatizzazioni su cui sta lavorando il Governo italiano. Il totale delle cessioni dovrebbe ammontare a circa 20 miliardi di euro e includere quote in Eni, in Poste italiane, in Ferrovie dello Stato. Negli ultimi due giorni l’attenzione si è concentrata su Eni, di cui il Governo vorrebbe cedere circa il 4% per un incasso di 2 miliardi di euro. È una cessione “facile” perché la dimensione della società, la liquidità del titolo e la solidità dell’azienda fanno sì che i titoli abbiano sempre un compratore.



Rispetto ad altre fasi si nota nei commenti, anche internazionali, un certo pudore a inquadrare le privatizzazioni in una cornice di riduzione del debito pubblico. Non c’è solo il fatto che 20 miliardi rappresentano meno dello 0,1% del debito pubblico italiano. Le cessioni hanno un impatto insignificante sul debito pubblico e sono un affare economico discutibile, perché comportano un risparmio in interessi pagati inferiore ai dividendi persi. Ieri il decennale italiano costava al Governo italiano il 3,9% di tasso di interesse mentre il titolo Eni, escludendo il buyback, rendeva, secondo le stime degli analisti, il 6,5%.



Il pudore, rispetto ad altre fasi, deriva da quanto accaduto negli ultimi tre anni e da quanto accora accade in alcune delle principali economie sviluppate occidentali. Deficit e debiti pubblici sono esplosi durante i lockdown e a due anni dall’ultimo colpo di coda del Covid, dicembre 2021, la riduzione del deficit non sembra essere una priorità di tutti. Per esempio, gli Stati Uniti viaggiano su livelli di deficit mai visti in tempi di pace e la riduzione non è nemmeno all’ordine del giorno. Oggi molti Paesi sono nella stessa situazione in cui era o è l’Italia e a nessuno viene in mente di privatizzare, come accaduto a queste latitudini, società strategiche. Questo vale sicuramente per Eni che, nello scenario attuale, è quanto di più strategico si possa immaginare e che sembra costretta a impiegare risorse in piani di acquisto di azioni proprie che servono anche a evitare la diluizione del Governo che vende.



Il consolidamento fiscale e l’uscita dalle politiche fiscali eccezionali dell’era Covid è un tema serio, perché a pagare la liquidità e i sussidi “gratis” sono state negli ultimi due anni le famiglie con la tassa peggiore del mondo: l’inflazione. Più passano i mesi, più si allunga l’elenco di economisti e banchieri centrali che mettono in relazione quei deficit con il rialzo dei prezzi. Uno degli ultimi in ordine cronologico è il membro del board della Fed Chris Waller, secondo cui è impensabile attribuire quanto accaduto a uno shock sull’offerta senza considerare la domanda e l’incremento del debito.

Il tema del consolidamento fiscale è serio e dovrebbe essere affrontato seriamente evitando di accostare la riduzione del debito a pacchetti di privatizzazioni che ne rappresentano una quota risibile, che privano i Governi venditori di lauti dividendi e che allentano la presa su società strategiche. Mentre il Governo italiano è obbligato dall’Europa a queste lungimiranti cessioni, l’Unione Europea incassa decine di miliardi di euro all’anno dalla vendita di diritti CO2, pagati dalle imprese e poi a valle dalle famiglie, e obbliga ignari consumatori, inclusi quelli che usano la macchina una volta alla settimana, a passare all’auto elettrica le cui vendite, senza costosi incentivi, crollano, come si evince dalle immatricolazioni europee di dicembre. Poi ci sarebbe una lunga teoria di norme “green” europee che stanno condannando interi settori industriali obbligando i governi a costosi sussidi.

Lo Stato italiano, dopo questa ennesima tornata di privatizzazioni, non sarà più ricco ma più povero e questo ormai è chiaro a tutti. Lo si comprende dai toni con cui il programma di cessioni viene commentato sui principali organi di informazione economica internazionali. Il futuro delle politiche fiscali è un tema serissimo, forse il più serio di tutti tra quelli economici e sociali. Nessuno vuole mettersi in ridicolo pensando di metterlo in relazione alle “privatizzazioni”, tanto più in un Paese dove si è già privatizzato il possibile e l’impossibile e ancora di più mentre il leader del mondo occidentale è nella situazione fiscale in cui è,  e in cui l’Unione europea continua imperterrita, in una situazione energetica e commerciale drammatica, in politiche green tanto strampalate quanto costose.

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